Kammerlander, il mito della scalata: «Tante volte ho avuto paura. Da giovane rischiavo dieci volte di più»

Giovedì 7 Ottobre 2021 di Daniela De Donà
Hans Kammerlander

Oltre le Vette la rassegna bellunese che esplora Metafore, uomini, luoghi della montagna compie 25 anni e si regala la presenza di un mostro sacro dell'alpinismo cone Hans Kammerlander, una dei protagonisti più amati dell'arrampicata.

La manifestazione si aprirà l'8 ottobre per chiudersi domenica 24 al Teatro Comunale con Hans Kammerlander, l'italiano da annoverare tra i più grandi alpinisti himalayani ancora in attività, che si racconterà al pubblico dei curiosi e degli appassionato. Nato a Campo Tures (Bolzano) nel 1956 è alpinista, sci alpinista estremo, esploratore, guida alpina e maestro di sci. Tra gli anni Ottanta e Novanta si contano le sue imprese più note come la salita, senza ossigeno supplementare, di 12 dei 14 Ottomila, sette dei quali in cordata con Reinhold Messner. A gennaio 2012 ha completato per primo la salita delle Second seven summits le sette seconde cime più alte del mondo. Così, prima dell'intervista butta là un suo difetto: «Non arrivo puntuale. Mai».

Lei ha iniziato da giovane a salire vette. In 40 anni cosa è cambiato nel modo di fare alpinismo?
«Bisogna distinguere. Per quel che riguarda chi sale in roccia di diverso c'è che si usa tutta un'altra attrezzatura, a cominciare dalle scarpette. E poi il tipo di allenamento è molto più mirato. Invece sono molte meno le variazioni nelle più impegnative salite senza ossigeno in Himalaya, anche se si usano moderni materiali, rimangono di enorme impegno e per pochissimi: alcune mie, dopo trent'anni, non sono ancora state ripetute».

Una vita tra pareti di ghiaccio e neve ripida. Mai avuto paura?
«Tante volte. Da giovane ho anche rischiato dieci volte di più quanto adesso rischierei. Ho, di certo, vissuto situazioni altamente pericolose in cui ho temuto per la vita, come nel 1991 sul Manaslu quando persi i miei due amici, Karl Grossrubatscher e Friedl Mutschlechner».
 

I numeri della sua carriera alpinistica fanno paura: 2500 scalate in tutto il mondo, tra cui più di 50 prime ascensioni. E primo uomo a scendere con gli sci dal Nanga Parbat e dall'Everest. Ma ci sono pure gli insuccessi: diede forfait sul K2. Sconfitta che brucia?
«Arrivato in cima mi trovai circondato dalle nuvole, c'erano problemi di luce e visibilità. Sono sceso con gli sci ai piedi per 200 metri, poi basta. Ma il momento più intenso, a livello emozionale, lo avevo già vissuto, toccando la cima del Re delle cime». 
 

Mai pensato di ritentare?
«Io non faccio gare. Mi dissi subito che la discesa con gli sci dal K2 era un progetto che avrei lasciato ai giovani. Però, riallacciandomi a quello che ho detto prima, vorrei precisare che quella discesa, senza ossigeno e non portata a termine è datata 2001. E che solo lo scorso anno un polacco è riuscito dove io non riuscii. Ha seguito la stessa linea che io avevo disegnato. Una bella soddisfazione per me».
 

A proposito di soddisfazioni. Molte le sono arrivate per salite, come il primo concatenamento assoluto di due Ottomila, il Gasherbrum II e il Gasherbrum I, in coppia con Messner: amico o rivale? 
«Amico, certo. Ci vediamo almeno una volta all'anno. Reinhold è il mio grande maestro».

Di quale delle sue imprese in Himalaya è più orgoglioso?
«Nessuna montagna. Ora penso ai bambini del Nepal. Seguo un progetto, con altri 12 amici: abbiamo costruito 26 scuole e 3 case per bambini orfani. Vado in Nepal due o tre volte all'anno, per vedere come va. Ne sono orgoglioso».

Anche Giuliano De Marchi, alpinista bellunese, medico accademico del Cai, aveva nel cuore i bambini del Nepal. Dopo varie imprese sulle cime più alte di Alaska e Himalaya morì nel 2009 sulla montagna di casa, l'Antelao. Lei lo ha mai incontrato? 
«È stata tra le migliori persone e tra i migliori alpinisti che io abbia conosciuto. Mi lasci aggiungere che in terra dolomitica sono tanti i rocciatori in gamba. Le Dolomiti sanno fare da ottima palestra. Insegnano l'andare in montagna»

Progetti futuri? 
«Non sono giovane, ma ho ancora la voglia di togliermi qualche sfizio. Sto puntando a salire I Cervini del mondo, pareti ripidissime su cui arrampicare tra Norvegia, India, Alaska, Canada, Nepal e, ovviamente, Italia. Sono a quota quattro salite effettuate. La pandemia ha frenato il progetto, ma vorrei concludere il giro»

Spopolamento della montagna: cosa ne pensa?
«Credo che, fortunatamente, sia in atto un'inversione di tendenza. Almeno rispetto a 20 anni fa. Si fugge meno verso valle e verso la città. Non vorrei essere troppo ottimista, ma mi pare di vedere giovani che decidono di restare, anche in nome del tipo di agricoltura che si fa in montagna e che ti fa sentire sempre vivo, in azione. La figlia di mio fratello, per esempio, ha trasformato una piccola malga senza corrente e acqua in un piccolo maso e vive là».
Intanto per due settimane Oltre le Vette si metterà in mostra (programma completo su www.oltrelevette.it, con green pass e prenotazioni obbligatorie per gli eventi, tutti gratuiti): si va dalle mostre fotografiche alle visite guidate, dai convegni alle presentazione di libri e alle proiezioni di film, come Fratelli si diventa in omaggio a Walter Bonatti e Reinhold Messner. A scelta gli incontri: con il neurobiologo Stefano Mancuso, o l'antropologo Duccio Canestrini, o l'esploratore Max Calderan. E verrà ricordato Dino Buzzati, scrittore e giornalista nato a Belluno: cade, infatti, il 50° anniversario della pubblicazione de I miracoli di Valmorel, occasione del concorso internazionale Per grazia ricevuta-per esorcizzare un'epidemia con premiazione delle migliori opere artistiche realizzate su tavoletta di legno. Non mancano, infine, le iniziative dedicate a chi ha tra i 5 e i 13 anni: il 10 ottobre le guide alpine Michele Barbiero e Francesco Tremolada insegneranno ad arrampicarsi sugli alberi, riscoprendo il gioco più antico del mondo.
 

Ultimo aggiornamento: 8 Ottobre, 10:18 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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