Covid, onorificenza al personale della sanità, esclusi i medici di base: «Siamo come i militi ignoti»

Lunedì 24 Maggio 2021 di Enzo Bozza *
Un medico di base a casa di un paziente covid
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Il 2 giugno, in Prefettura a Belluno, saranno insigniti dell’onorificenza di Stato alcuni meritevoli esponenti della sanità bellunese, dirigenti delle categorie e direttori di distretto e Unità operative, a buon titolo, visto il lavoro svolto in questi mesi.

Mancheranno solo i servi della gleba: i medici di base, per i quali nessun esponente sarà insignito di qualcosa. Sono costernato, non in quanto medico di base, poiché il mio lavoro mi appaga da sempre senza bisogno di pacche sulla spalla. Sono costernato e avvilito in quanto cittadino di uno Stato che premia i generali ma troppo spesso dimentica i soldati che combattono tutti i giorni in prima linea. Né Giulio Cesare, né Annibale lo avrebbero mai fatto, sapendo quanto è importante il cuore di un soldato quando combatte e quanto, da questo, dipenda la sorte di una battaglia. Io l’ho visto il virus, negli occhi dei tanti che soffocavano e con la febbre alta.

Li ho visti in ambulatorio e nelle loro case, li ho sentiti al telefono ogni giorno. Con l’aiuto prezioso dei giovani colleghi delle Usca, abbiamo seguito oltre duecento infetti, ricoverato in terapia intensiva una decina dei miei assistiti e sei di loro non ce l’hanno fatta.

Io l’ho visto il virus, ogni giorno per 18 mesi. Il virus ha visto me, ma mi ha mancato, forse perché i miei genitori mi hanno regalato un buon sistema immunitario, o semplicemente perché non era giunta la mia ora, benché per cinque mesi io abbia lavorato senza nessun dispositivo di protezione, nonostante la paura di infettare i miei pazienti o i miei familiari, ma non avevo scelta: i dispositivi non si trovavano. Il virus mi ha graziato, ma cinque miei colleghi in Cadore si sono infettati e qualcuno è finito in ospedale. Meno bene è andata a quei quattrocento medici di base, sul territorio nazionale, che sono morti di covid. L’esercito ha avuto le sue perdite, abbiamo pagato un prezzo altissimo. Lo sapevamo. È il nostro lavoro e l’abbiamo scelto noi. Speravamo che qualcuno si accorgesse di noi dopo decenni di lavoro, non con un encomio ma più semplicemente fornendoci i mezzi per lavorare. Le armi per continuare a combattere: strumenti, aiuti, informazioni, collegamento con gli alti ufficiali del comando, ma niente di tutto questo. Quando ho inviato alla Regione Veneto la mia richiesta perché venisse riconosciuta una indennità di disagio ai medici della montagna, ho ricevuto solo la solita risposta burocratica: giriamo a chi di competenza e le faremo sapere. Nulla di fatto: i generali tacciono.

Signor Presidente, Lei che depone ogni anno una corona dedicata al Milite Ignoto sull’Altare della Patria, non dimentichi altri militi ignoti che sono quelli che combattono ogni giorno, ma sono finiti nell’ombra delle mistificazioni amministrative: i medici del territorio che diventano sempre più invisibili. Il riconoscimento, sia pure simbolico, è un dovere morale della collettività che Lei rappresenta. I grandi generali della storia sapevano benissimo quanto fosse importante scendere in trincea e incontrare i propri soldati per rincuorarli e sostenerli, perché per quanto sia fondamentale una strategia di comando, sono i soldati che si sporcano le mani. Al solito, si premiano i dirigenti che nei loro uffici compilano i moduli della strategia e poi ci si dimentica di quelli che la mettono in pratica sul territorio. Onore al merito di quanti hanno reso encomiabile la sanità bellunese: a loro tutta la stima perché hanno lavorato affinché il sistema reggesse l’impatto della pandemia. Facevamo parte dello stesso esercito, ma noi, il 2 giugno, non ci saremo. Bastava insignire un medico di base, il più giovane di tutti, per non sentire sulla pelle la sconfitta dell’oblio. Grazie, Signor Presidente, a nome di tutti i medici di base, ma soprattutto a nome di quelli che non ci sono più.

* medico

Ultimo aggiornamento: 07:29 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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