Infermieri dalle case di riposo agli ospedali: «Ecco perché lo facciamo»

Lunedì 4 Gennaio 2021 di Davide Piol
L'interno di una casa di riposo
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Cosa spinge un infermiere che lavora in una casa di riposo a spostarsi in ospedale? Le risposte sono tante. Ad esempio: «Ho 28 anni e due figli piccoli». Michele Cristian Giacobbe, ex infermiere della casa di riposo di Limana, ora in Medicina covid al San Martino di Belluno, spiega che c’è sicuramente un lato economico: «Il contratto è diverso. Attualmente ne ho uno a tempo indeterminato e posso richiedere la paternità che prima, con la partita iva, non riuscivo a ottenere». Poi c’è il desiderio di fare carriera: «In rsa non ci riesci. Impari molto, soprattutto nella gestione delle cronicità, ma in ospedale è tutto amplificato. Se vuoi fare carriera devi spostarti». Giacobbe ha lavorato tre anni nella casa di riposo di Limana.
L’OPPORTUNITÀ
Poi il concorso pubblico e un nuovo inizio all’ospedale di Belluno. «Il cambiamento non è stato uno choc – racconta – Sono una persona che ha bisogno di imparare e di crescere continuamente. Il covid l’avevamo già affrontato in rsa quindi ero pronto». Si tratta di un lavoro che lo entusiasma. È una vocazione. «In reparto – continua Giacobbe – mi piace il fatto che ci siano diversi professionisti che arrivano da ambiti differenti e che, proprio per questo, riescono ad aiutarsi ogni volta che c’è una difficoltà. Nel frattempo si corre. Ci sono ricoveri uno dietro l’altro». Entrare in ospedale, però, significa vedere gli effetti più devastanti del virus: «In casa di riposo non c’era una vera e propria sintomatologia. Ora mi scontro con i danni che il virus provoca anche a persone giovani: uomini di 50 anni che vengono attaccati all’ossigeno e non riescono più a camminare».
POSTI SCOPERTI
La fuga di massa degli infermieri dalle rsa lascia però completamente scoperti i Centri per anziani. È una scelta legittima ma con ripercussioni pesanti per le strutture perché non c’è chi li possa sostituire. «È un fenomeno che esiste da sempre – spiega il presidente dell’Ordine degli infermieri Luigi Pais Dei Mori – ma l’emergenza da covid-19 e la conseguente richiesta di personale nel servizio pubblico rischia di far collassare il sistema socio sanitario delle case di riposo». Non è più nemmeno un problema di reclutamento perché «gli infermieri semplicemente non ci sono». E questo deriverebbe, secondo Pais Dei Mori, dal fallimento delle politiche di formazione dei professionisti. Poco importa, quindi, i motivi per cui un infermiere sceglie una struttura a discapito dell’altra: maggior appeal professionale, maggior valorizzazione, maggior retribuzione. «Tutti aspetti validi – commenta il presidente degli infermieri – ma il cerino acceso rimane comunque in mano alle strutture per anziani che devono rivedere modelli assistenziali, possibilità di carriera, valorizzazione professionale, stipendi».
LA VIA D’USCITA
La proposta: «Perché non inserire elementi di sviluppo professionali anche in ambito clinico, valorizzando percorsi formativi specialistici e rivedendo nel contempo i vecchi modelli assistenziali, essenzialmente basati sulle attività e non sulla gestione dei casi?». Di fronte alla recente assunzione di 103 infermieri da parte dell’Usl 1 Dolomiti, l’amministratore unico di Sersa Paolo Santesso (che perderà probabilmente 10 infermieri su 16) aveva ipotizzato corsi veloci agli osss per sostituire gli infermieri in caso di bisogno. «Sono affermazioni che mi preoccupano – conclude Luigi Pais Dei Mori – La soluzione non può passare attraverso un illegittimo depotenziamento e dequalificazione dell’assistenza erogata, ridotta ad “attività da espletare”, perdendo di vista il profilo dell’infermiere. È tempo di agire a tutti i livelli.

Ne va della salute dei nostri anziani e del nostro futuro».

Ultimo aggiornamento: 07:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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