I misteri della città di ghiaccio risucchiata dal gelo della Marmolada

Giovedì 15 Ottobre 2020 di Dario Fontanive
Marmolada

BELLUNO - È ancora il ghiacciaio più grande delle Dolomiti, anche se la sua estensione si è notevolmente ridotta: se nel 1910 l'area che ricopriva era di 450 ettari, nel 2013 era appena di 190 ettari. Grazie alla vastità e profondità dello spessore del ghiaccio, durante la Grande guerra, nel cuore del ghiacciaio della Marmolada venne realizzata dall'esercito austro-ungarico un'opera singolare: la mitica Città di ghiaccio a cui è dedicato il libro scritto da Andrea De Bernardin e Micheal Wachtler che non solo descrivono questa suggestiva impresa, ma ne svelano anche alcuni misteri. Bernardin, ricordiamo, è il sindaco di Rocca Pietore, Comune dell'Alto Agordino distrutto dalla tempesta Vaia a fine ottobre 2018. Un uomo, assieme ai suoi concittadini, diventato il simbolo della rinascita.
FRONTE DI BATTAGLIE

Fin dal maggio del 1915 il confine tra il Regno d'Italia e l'Impero austro-ungarico fu attraversato da venti di guerra. L'Italia aveva iniziato ad ammassare reparti militari nelle valli e sui versati a ridosso del confine dolomitico che dal 24 maggio sarebbe diventato fronte di battaglie. Il secolare silenzio di queste montagne venne rotto per oltre due anni e mezzo dal rombo dei cannoni e le candide cime bagnate dal sangue di tanti soldati. La Marmolada oltre ad essere la montagna più alta delle Dolomiti, da qui il nome di Regina, durante il primo conflitto acquistò un ruolo strategico sul fronte militare essendo posta sul confine tra la val Pettorina, allora italiana, e la val di Fassa al tempo territorio austro-ungarico. Il valico del Fedaja, che metteva in comunicazione le due vallate e il territorio circostante, fu teatro già dai primi giorni di guerra di importanti e accaniti scontri tra i due eserciti. Ma da subito le alture della Marmolada non sembravano assumere un grande interesse strategico, se non successivamente quando ci si accorse che dalle sue cime si poteva dominare e controllare tutto quello che faceva il nemico nelle valli adiacenti. Fu così che iniziò la corsa alla conquista delle sue cime. Gli italiani, risalendo il Vallon D'Antermoia, riuscirono a occupare una posizione importante come quella del Serauta posta a 3000 metri di quota dove realizzarono un vero e proprio fortino inespugnabile fatto di gallerie dalle quali si dominava l'intero ghiacciaio. Questo impediva agli austriaci di poter risalirlo in superficie per approvvigionare le proprie postazioni in quota senza essere visti e diventare bersaglio dal fuoco avversario.
L'IDEA GENIALE

Un giorno, per sfuggire proprio a una scarica di fucileria italiana, il capitano austriaco Leo Hand, ingegnere da civile, con al seguito una pattuglia di soldati trovò rifugio in un crepaccio. Da questo episodio fortuito maturò in lui l'idea di poter sviluppare nel cuore del ghiacciaio una vera e propria città, fatta di strade, ponti e caverne di ghiaccio nelle quali si potevano costruire delle baracche dove i soldati avrebbero potuto vivere in posizione avanzata al riparo dal fuoco italiano e dalle valanghe.
Dopo vari esperimenti con diversi esplosivi per trovare quello più adatto da impiegare nel ghiaccio, nell'estate del 1916 alla primavera del 1917, furono impiegati centinaia di soldati per lavorare nelle viscere del ghiaccio per riuscire a ricavare una vera e propria città nella quale potevano vivere circa duecento soldati. Un reticolo di tunnel e gallerie scavati nel cuore del ghiacciaio la cui lunghezza totale raggiunse i dodici chilometri. Un'opera colossale.
IL VOLUME

Il libro La città di Ghiaccio di De Andrea De Bernardin e Micheal Wachtler per la prima volta fornisce una grande quantità inedita di notizie e di fotografie dedicate a questa opera, individuate nei musei, negli archivi pubblici ma soprattutto conservate negli album di famiglia dei discendenti dei soldati che furono i protagonisti della realizzazione e poi della fruizione di quest'opera. Un libro che per la prima volta offre anche notizie dettagliate sulla figura dell'inventore di quest'opera: quel Leo Handel al quale forse non è stato mai riconosciuto il giusto valore e riconoscimento di essere il padre della mitica Città di ghiaccio.
Questo libro vuole mettere in evidenza anche un particolare aspetto di questa Città di ghiaccio, che una volta abbandonata in seguito allo spostamento del fronte sul Piave, dopo la rotta di Caporetto, venne lasciata al suo destino e quindi inghiottita dal ghiacciaio. Solo pochi uomini, nei decenni che seguirono la fine della guerra, si spinsero nel voler cercare tracce di quest'opera: i recuperanti - così venivano chiamati - che prima spinti dalla necessità di vendere i residuati di ferro alle fonderie, e poi dalla sola passione di trovare qualche reperto o testimonianza di questo conflitto, si sono intrufolati negli anfratti ai bordi del ghiacciaio per svelarne anche qualche mistero. E proprio ai recuperanti, come Dino De Bernardin, è stato dedicato l'ultimo capitolo di questo volume: grazie alla loro opera di ricerca hanno portato alla luce alcune piccole testimonianze di un'opera ancora oggi avvolta nel mistero.
Dario Fontanive
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Ultimo aggiornamento: 12:53 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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