Il castello che ispirò Alessandro Manzoni, qui viveva l'Innominato

Giovedì 25 Giugno 2020 di Giovanni Carraro
Castelnuovo di Quero
QUERO (BELLUNO) - «Richiedeva una spesa maggiore che in altri castelli per lo stipendio dei soldati, perché la nuova fortezza ai confini del Trevigiano aveva fama di essere in luogo silvestre e solitario». Così si legge in antichi documenti a proposito di Castelnuovo di Quero, conosciuto per il caratteristico tratto di strada che sottopassa la fortezza là dove un tempo c'erano i ponti levatoi. Quel castello posto nella chiusa di Quero, sul confine meridionale della provincia di Belluno, ebbe secolare funzione di difesa e di dogana per la Serenissima, impegnata a proteggersi dalle infiltrazioni imperiali, e nel Cinquecento vide la trasformazione interiore di Girolamo Emiliani, ricco patrizio veneto che scelse di perdere il titolo di castellano per diventare servo degli orfani e della gioventù abbandonata. Sulla scia del suo carisma, ora il maniero è simbolo dell'accoglienza dei padri Somaschi. Castelnuovo resta un luogo avvolto da leggende, ancor più misterioso se si pensa che per alcuni studiosi rappresentò una delle fonti di ispirazione nella stesura dei Promessi Sposi: l'Innominato raccontato da Alessandro Manzoni, sarebbe stato nella realtà Girolamo Emiliani.
LA STORIA
Il castello venne eretto dai Veneziani a partire dal 1376 come avamposto prioritario per scongiurare le incursioni nemiche dal nord, vista l'estrema facilità con cui in quegli anni il duca Leopoldo d'Austria era stato in grado di giungere fino a Treviso appiccando il fuoco. La scelta del luogo ricadde sulla Chiusa della Moschetta, uno stretto passaggio del Piave posto tra ripidi pendii sulla valle. I lavori, che si rivelarono più lunghi e costosi del previsto, terminarono nel 1378 e Castelnuovo entrò in funzione nel 1379. Era costituito da un corpo centrale affiancato da due torri, una appoggiata alla montagna e l'altra lambita dal corso del Piave. La strada, all'epoca detta del Canal di Quero, passava al centro sotto un arco che si chiudeva con porte e ponti levatoi. C'erano armi di tutti i tipi, balestre, fionde, lance e corazze a cui si affiancarono in seguito schioppi e bombarde caricate con palle di pietra. La nuova fortezza aveva fama di risiedere in un luogo silvestre e solitario, tant'è che gli stipendi dei diciotto soldati in forza furono necessariamente più alti che in altri castelli. La paga supplementare era finanziata dai commilitoni di Treviso «contenti di far questo pur di esser scusati dall'andare a detta custodia». Oltre a fungere da dogana, Castelnuovo controllava anche il traffico fluviale del Piave tramite una catena che, collegando le due rive, ne regolava la navigazione. Vi era pure un servizio di traghetto che partiva poco più a sud e approdava alla cartiera di Vas, cessato agli inizi del Novecento con la costruzione di un ponte. La gestione di Castelnuovo era affidata ad un castellano che percepiva una percentuale sul dazio. Il sito fu messo alla prova per la prima volta nel 1411 quando i Feltrini lo espugnarono e i Veneziani reagirono danneggiando la torre maggiore. Significativi anche gli eventi durante la guerra di Cambrai, quando fu fatto prigioniero il castellano Girolamo Emiliani nel 1511. La fortezza necessitava di continui lavori di manutenzione, che spesso gravavano sugli abitanti della pieve di Quero. Alla caduta della Repubblica Veneta, Castelnuovo subì un progressivo degrado, culminato con la Prima Guerra mondiale. In tempi recenti è stato oggetto di considerevoli restauri ed oggi è sede dei Padri Somaschi.
PATRONO DEI BIMBI
Tra tutti i castellani che governarono Castelnuovo, il più famoso è stato indubbiamente Girolamo Emiliani, nato a Venezia nel 1486 da ricca famiglia nobiliare. A quei tempi la Serenissima con il suo potere politico cominciava a dar parecchio fastidio alle potenze europee, che nel 1508 si unirono nella Lega di Cambrai per contrastare con azioni militari le mire espansionistiche della città lagunare. Questa reagì difendendo i punti strategici del suo territorio, tra cui Castelnuovo di Quero che il 27 agosto 1511 venne assalito da tremila fanti francesi. Girolamo Emiliani, in quel momento reggente della fortezza, dovette arrendersi e venne incatenato nel sotterraneo del castello. Durante la prigionia si avvicinò alla preghiera e nella notte tra il 26 e il 27 settembre, secondo la tradizione, gli apparve la Vergine Maria che lo guidò alla chiesa di Santa Maria Maggiore a Treviso, nota come Madonna Granda, liberandolo dai ceppi e dalla pesante palla di pietra, ancora oggi lì conservati (secondo il cronista veneziano Marin Sanudo in realtà fu liberato a Breda di Piave). Fu un'esperienza spirituale che lo spinse a cambiare radicalmente vita, dedicandola ai poveri e agli orfani. Nel 1534 a Somasca in provincia di Lecco costituì una comunità che ha dato origine all'ordine dei Padri Somaschi, tuttora esistente. Morì di peste l'8 febbraio 1537 e fu dichiarato beato nel 1747. Nel 1928 Papa Pio XI lo ha proclamato Santo patrono universale degli orfani e della gioventù abbandonata.
L'ISPIRAZIONE
Alessandro Manzoni fu tra i più importanti seguaci dei Padri Somaschi e si concentrò moltissimo sulla vita del Santo fondatore, basti la citazione nelle Osservazioni sulla morale cattolica. Secondo alcune fonti storiche, questo legame influenzò la scelta di un celebre passaggio dei Promessi Sposi. Vi è infatti un particolare molto curioso che si rifà a San Girolamo e a Castelnuovo. «Secondo la tradizione, Manzoni colloca i racconti dell'Innominato al castello di Somasca e qui avvenne la famosa conversione», racconta Padre Secondo Brunelli, esperto di storia della Congregazione dei Padri Somaschi. «In realtà, come già sostenuto da Giulio Salvadori all'inizio del Novecento, Manzoni si era ispirato a Quero e a Girolamo Emiliani. L'Innominato, messo in crisi dalle parole di Lucia, metaforicamente è il nostro castellano veneziano. La riflessione, la preghiera, la volontà di cambiar vita sono gli elementi che si ritrovano in Girolamo Emiliani ma anche nell'Innominato». Castelnuovo di Quero sarebbe quindi quel «castellaccio dove dominava il selvaggio signore come l'aquila dal suo nido insanguinato» descritto nel più famoso romanzo storico italiano.
Giovanni Carraro
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