Scuola a casa, è boom dell'educazione parentale: 60 bambini non andranno in classe

Giovedì 10 Settembre 2020 di Davide Piol
In crescita le famiglie che scelgono l'educazione parentale
Lunedì siederanno entreranno nelle classi quasi 23mila bellunesi, ma una sessantina di ragazzi bellunesi non andranno a scuola quest’anno. Non per problemi di salute e nemmeno per pigrizia. Non ci andranno perché fanno parte del popolo degli “homeschoolers”. Ossia quei minorenni che, alla scuola dell’obbligo, preferiscono l’educazione parentale. Quindi l’apprendimento a casa. Secondo Morena Franzin, referente bellunese di Laif (L’associazione istruzione familiare), il Covid-19 «ha giocato un ruolo fondamentale nella decisione dei genitori di togliere i figli dalle scuole dell’obbligo». Ma occorre fare una precisazione. Gli “homeschoolers” non sono una novità del 2020. Già prima del lockdown l’associazione seguiva con certezza 23 famiglie per un totale di circa 40-50 ragazzi. 

LA SPINTA
«È una decisione che non si fa dall’oggi al domani – spiega Morena Franzin – Richiede impegno, elasticità mentale e soprattutto tanta informazione. È quello che abbiamo cercato di dare negli ultimi mesi senza obbligare nessuno. Ci sono genitori, soprattutto a Belluno, che ci pensano da anni». Il Covid-19 ha dato loro la spinta necessaria per prendere una decisione sul futuro dei figli. E, alla fine, si sono convinti a tenerli a casa. «Abbiamo avuto un boom di richieste – continua la referente bellunese di Laif – È difficile fare una stima esatta ma il numero degli homeschoolers sta aumentando velocemente. Al momento ci saranno una trentina di famiglie e, calcolando che ognuna ha da uno a tre figli, possiamo dire che circa sessanta ragazzi non andranno a scuola». Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di una scelta condizionata dalla paura del contagio. Nient’affatto. Molti genitori, vivendo la didattica a distanza, «hanno scoperto modalità interessanti per istruire il bimbo a casa. Avendo ritmi diversi, possono partire direttamente da lui, sviluppare i suoi interessi, e toglierlo da un insegnamento classico che arriva dall’esterno». 

LE ESPERIENZE
Ci sono ragazzi, però, che non si sono mai seduti su un banco di scuola. In questi casi l’istruzione parentale è cominciata da subito. «Farlo solo per il Covid-19 è limitante – precisa il presidente di Laif Italia Sergio Leali – Ma in ogni caso è una scelta che cambia molte cose, a partire dal modo di interpretare la fase dell’apprendimento e della formazione del figlio». Leali ne ha due, uno di 17 e l’altro di 19 anni, mai andati a scuola. Quest’anno faranno la maturità. Si, perché una cosa non esclude l’altra e chi ha passato la sua vita sui libri di casa può comunque accedere agli esami di Stato e poi all’università. «Alcune li accettano anche se non hanno conseguito l’esame di maturità – racconta Leali – Contano più le competenza di un pezzo di carta. Alcune università straniere offrono addirittura una corsia preferenziale agli homeschoolers». È chiaro che un approccio di questo tipo richiede, da parte dei genitori, non solo competenze consone all’insegnamento, seppur diverso da quello classico, ma anche e soprattutto tempo. «Il genitore non deve per forza insegnare al figlio – chiarisce il presidente di Laif – Basta organizzare al meglio gli accessi alle fonti del sapere. Deve mettersi accanto al ragazzo e non davanti». Il tempo, invece, gioca un ruolo fondamentale ma si parla di educazione parentale quindi il genitore potrebbe farsi aiutare dai nonni o dagli zii. L’importante è che possa dedicargli «tempo buono e non il residuale di fine giornata».
Ultimo aggiornamento: 10:53 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci