Nonnismo alla caserma "Salsa": tre militari finiscono a processo

Domenica 14 Ottobre 2018 di Olivia Bonetti
Militari alla caserma Salsa di Belluno
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«Ciccione», «Non sei capace di fare niente», «Io ti faccio congedare». Di questo tenore le frasi che i sottufficiali della Brigata alpina Julia-Settimo Reggimento alpini della caserma Salsa, avrebbero rivolto a un loro inferiore. Il culmine di un anno di vessazioni, secondo quanto raccontato dal militare, sarebbe avvenuto la sera del 5 maggio 2016, quando i tre sottufficiali avrebbero prelevato la televisione che lui teneva in camera per uno “scherzo”. L’avrebbero portata giù e chiusa in un’auto sotto chiave. Quando l’alpino arrivò per riprendersela gli avrebbero messo le mani in faccia per impedirglielo, provocandogli delle lesioni.
L’ACCUSA
I fatti sono stati raccontati giovedì in Tribunale a Belluno, nel processo che si è svolto di fronte il giudice Angela Feletto, con il pm Gianluca Tricoli. Alla sbarra i tre sottufficiali, residenti in città, accusati di violenza privata, lesioni e di abuso di autorità (avrebbero violato gli articoli 195 e 196 del Codice penale militare di pace). Si tratta di un sergente maggiore, 41enne, comandante del plotone dove c’era il militare parte offesa; con lui un 31enne e un 35enne (sono tutti e tre difesi dall’avvocato di fiducia Antonio Vele di Napoli). Solo gli ultimi due imputati erano presenti giovedì in aula. C’era anche il giovane militare vessato, si tratta di un 25enne, che è parte civile con l’avvocato Mario Palmirani del Foro di Santa Maria Capua Vetere. 
IL RACCONTO
Ha pianto più volte il 25enne, ripercorrendo quell’incubo vissuto in caserma, tanto che il giudice ha interrotto per qualche minuto facendogli portare dell’acqua. Il militare, caporalmaggiore, avrebbe subìto veri e propri atti di nonnismo, che sarebbero andati avanti per quasi un anno (la contestazione per la violazione del Codice militare è dal 2015 al 2016). Sarebbe stato tormentato dai tre superiori in tutti i modi. Gli avrebbero tirato addosso i cestini di immondizia, quando si riposava a letto dopo l’esercitazione. Nel corso del montaggio e smontaggio dell’arma un sergente Caredda lo avrebbe punto con un chiodo alla spalla, mentre gli altri due gli erano vicini facendogli pressione psicologica. Fino all’episodio della televisione, dopo il quale il 25enne prese coraggio e denunciò quanto stava accadendo. «Ero presente quella sera - ha detto un 27enne militare teste dell’accusa -. Avevano appena finito l’adunata e ero sotto l’albero all’entrata della caserma. Sono scesi prima i sottufficiali, tutti in divisa, poi il 25enne. Uno degli imputati ha aperto una macchina grigia. Un altro teneva in mano la televisione. Il 25enne cercava di riprendersi il televisore. I tre si spintonavano: gli hanno messo le mani sul volto procurandogli una lesione».
“I CARNEFICI”
Ha parlato in aula anche il capitano, comandante della Compagnia, che, dopo la segnalazione del caporalmaggiore 25enne, fece delle indagini e alla fine segnalò i fatti ai responsabili. «Mi sorpresi - ha detto - di uno dei tre in particolare, in quanto si era spacciato per vittima, e mi aveva accusato più volte di mobbing, ma alla fine si è trasformato in carnefice di questo ragazzo». Fino a quel giorno, il 5 maggio 2015, per un anno il 25enne aveva sempre chiesto rapporto al suo superiore gerarchico, come previsto dalle regole, per segnalare quanto accadeva: ma il superiore era uno degli imputati. Quel giorno prese coraggio e andò dal capitano, che lo accompagnò al pronto soccorso. Si torna in aula il 18 febbraio.
 
Ultimo aggiornamento: 12:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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