«Sto scivolando, sono ferito fate in fretta»: le ultime tragiche parole di Carlo poi precipita per cento metri

Lunedì 9 Maggio 2022 di Andrea Zambenedetti
Carlo Ghedin, morto in montagna a 47 anni
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BELLUNO - «Aiuto sto scivolando, sono sul Picco di Roda, ho preso delle botte, fate in fretta». Una chiamata di pochi secondi. Lucida, cosciente. Con tutte le informazioni necessarie per permettere ai soccorritori di raggiungerlo. Poi la conversazione con la centrale del 118 di Pieve di Cadore si interrompe. Cosa succede tra quella telefonata e l'arrivo dell'elicottero sul massiccio che sovrasta il lago del Centro Cadore, in provincia di Belluno, si può solo ricostruire anche se il margine d'errore, purtroppo, è limitato. Carlo Ghedin, 47 anni (48 il prossimo mese di luglio), ruzzola per cento metri perdendo la vita.

Ad individuare il suo corpo senza vita sono i soccorritori che arrivano sul posto in elicottero con le sole coordinate Gps della cima. Quando dalla centrale del 118 provano a richiamarlo, infatti, il suo telefono cellulare risulta già non raggiungibile. Probabilmente l'incidente si è già trasformato in tragedia. Sono le 14 di una giornata di sole tra le Dolomiti bellunesi quando l'elicottero si alza in volo con un tecnico e due soccorritori, verso il Picco di Roda. La visibilità è ottimale. La richiesta d'aiuto è così precisa e circostanziata che non servono ulteriori verifiche per mettersi in volo verso la cima in cui è avvenuto l'incidente.

LA SEQUENZA
Nella manovra di avvicinamento l'elicottero del Suem di Pieve di Cadore individua il corpo senza vita. Si trova adagiato su un versante in cui la neve e la parete spoglia si alternano. L'escursionista si trova sotto un salto di roccia, un centinaio di metri più in basso del sentiero di cresta. Può essere arrivato lì solo in un modo: precipitando. In un drammatico volo avvenuto dopo la telefonata in cui chiedeva aiuto, già impaurito, spaventato e preoccupato per le ferite. Per l'elicottero è impossibile atterrare in quel punto. L'unica possibilità è di sbarcare i soccorritori con un verricello di 60 metri. Un'operazione di routine per gli esperti volontari del soccorso alpino. A quel punto il tecnico di elisoccorso ha attrezzato una corda fissa, in attesa dell'arrivo di due soccorritori di Pieve di Cadore, imbarcati dall'eliambulanza in supporto alle operazioni. Ai soccorritori bastano pochi istanti di capire che non c'è più niente da fare. Probabilmente la sola scena, vista dall'elicottero è sufficiente per capire il quadro generale. Per intuire che la situazione nel giro di pochi minuti è cambiata, il confine tra la vita e la morte è stato attraversato, pochi istanti dopo la telefonata. In quota non rimane altro da fare che la mesta cerimonia della ricomposizione della salma, prima assicurata sulla neve in una barella e in punto più agevole in cui potesse essere imbarcata dall'elicottero.

L'INDAGINE
Il corpo di Carlo Ghedin, originario di Latisana ma residente a Pocenia (sempre in provincia di Udine) è stato poi trasportato al campo di calcio di Nebbiù di Pieve di Cadore dove è stato caricato sul carro funebre per proseguire verso l'obitorio. Le indagini di polizia giudiziaria sono affidate ai carabinieri ma non ci sono zone d'ombra o aspetti da chiarire. La causa della morte è dovuta al volo, tra i salti di roccia, per cento metri. Non c'era nessuno con lui, ma in quel tratto una passeggiata in solitaria - assicurano gli esperti - non è un azzardo. Si tratta di un sentiero lungo e stancante ma senza particolari avversità da superare. Affascinante e mozzafiato ma percorribile anche da chi non ha un'esperienza o un allenamento specifico. L'unica cosa da fare, quando si arriva nei pressi della cima, è non farsi inebriare. Non perdere la concentrazione, rimanere determinati sull'obiettivo che, quando si va in montagna non è mai la vetta ma la vita. Un piede messo male con quelle pendenze può costare tutto. Anche in una giornata di sole.

 

Ultimo aggiornamento: 27 Aprile, 16:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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