Sono trascorsi in questi giorni i 250 anni dalla formazione del grande invaso che lambisce la cittadina dell'Agordino. Nel gennaio 1771 e poi a più riprese ad aprile e maggio, alcune grosse frane bloccarono il corso del fiume Cordevole. Una serie di alluvioni sommersero alcuni villaggi e al loro posto si formò un catino d'acqua che resiste ancor oggi.
Le premonizioni non erano state delle migliori. Anzi, tutte le previsioni non davano molte speranze. Nel 1842 Tomaso Antonio Catullo luminare dell'ateneo di Padova assegnava al lago di Alleghe ancora un secolo di vita.
Ma molto tempo prima una serie di eventi naturali sconvolsero questa zona. L'11 gennaio del 1771, attorno alle 19,02 un grande frana scivolò dalle falde del monte Piz o Spiz ostruendo il fiume Cordevole che scorreva lì sotto e formando un grande invaso.
LA CATASTROFE
Fu così che un'enorme massa di terra, fango e sassi, - all'epoca si calcolò di circa dieci milioni di metri cubi di materiale - raggiunse il fondovalle sbarrando la strada alle acque del torrente. E fu da quel blocco naturale che, a poco a poco le acque iniziarono a salire. Il Cordevole venne così diviso in due e, rapidamente, l'acqua iniziò ad invadere il territorio circostante penetrando dovunque e allargandosi a vista d'occhio. In un battibaleno fu la tragedia: l'acqua e i detriti seppellirono tre paesi: Riete, Fusine e Marin con un bilancio drammatico: 49 morti, mentre le acque continuando a crescere a vista d'occhio lentamente sommersero le campagne e i villaggi di Pron d'Alleghe, Torre, Costa, Sopracordevole e Sommariva. Tanto che alla fine si contarono pure ben trecento sfollati.
IL DOGE
Con la crescita rapida delle acque che lentamente formava questo nuovo lago, andando a minacciare altri nuclei abitativi contadini e montanari si appellarono alle autorità del momento chiedendo aiuto al Doge e invitandolo a trovare una soluzione per queste terre del Dominio veneziano e cercare così un modo per risolvere una questione drammatica. A nulla valsero ispezioni, progetti di ingegneri e tecnici che la Repubblica di Venezia inviò per porre rimedio e scongiurare la formazione del lago. La frana era troppo grande e vasta per riuscire a scavare un canale che ne facesse defluire le acque abbassandone almeno in parte il livello e in tal modo permettesse di recuperare alcune campagne e qualche villaggio.
GLI INTERVENTI
Il sopralluogo più importante fu effettuato circa un mese dopo il 24 febbraio del 1771 e vennero individuate due possibili interventi per limitare i danni e fermare l'ampliamento del lago. L'obiettivo, prima che una alluvione più grande invadesse altri territori circostanti, fu quello di consentire al fiume di ritrovare il suo antico alveo oppure, in seconda istanza, di abbassare la soglia di tracimazione delle acque. In entrambi i casi però l'intervento fu ritenuto difficile se non impossibile visto i mezzi a disposizione. Un progetto di massima, subito abbandonato per la sua impraticabilità, indicava che per realizzare lo scavo del canale si sarebbero dovuti impiegare duemila uomini per quattro mesi, uno sforzo troppo superiore ai mezzi dell'epoca.
LA LEGGENDA
Sulla frana dell'11 gennaio 1771 c'è pure una leggenda montana, premonitrice che racconta di un vecchio pellegrino che provenendo dal villaggio di Avoscan, giunto in zona si fosse messo a chiedere da mangiare e un alloggio per dormire. Ma solo una vedova con cinque figli ebbe compassione dell'uomo e lo rifocillò con la magra cena e gli diede un giaciglio per riposare. Prima di coricarsi l'uomo disse alla donna che se nella notte avesse udito dei rumori sarebbe dovuta rimanere tranquilla perchè lei e i suoi figli sarebbero stati al sicuro. Ma proprio quella notte - secondo il racconto - si scatenò l'inferno che risparmiò la casa della donna. Una volta svegli l'indomani mattina la famiglia si accorse della catastrofe e dello scampato pericolo. Parte del monte Piz era crollato e aveva risparmiato la loro abitazione.
LA SECONDA CADUTA
Ma i pericoli non erano finiti. Due mesi dopo, in aprile, le acque del nuovo lago lambirono la soglia di tracimazione in località Masarè, destando nuove preoccupazioni, ma allo stesso tempo consentendo di mettere al sicuro altre abitazioni della valle. Il 1°maggio di quello stesso anno il monte Piz tornò a farsi sentire con nuovi rumori sinistri. Ad un certo punto un nuovo boato potentissimo squarciò il silenzio e un'altra enorme massa di fango e detriti scivolò a valle gettandosi in acqua generando una enorme ondata che si abbattè sulla sponda opposta del lago causando altre vittime e distruggendo altre case. In questa seconda sventura la risposta della Serenissima fu molto più celere e già in data 14 maggio il Senato approvava un sussidio di due Ducati a testa per i 301 sfollati; cento ducati per la costruzione di un oratorio provvisorio in legno e altri trecento ducati per l'allora parroco perché potesse provvedere ad assistere spiritualmente queste genti. Successivamente vennero concessi altri quattromila ducati per l'edificazione delle case ai sinistrati. Per i 250 anni della formazione del lago di Alleghe prossimamente sarà in libreria un volume dello storico Giorgio Fontanive che racconterà la storia di questa straordinaria e triste vicenda.
LA STORIA SI RIPETE
Un terribile evento di distruzione e di morte che lasciò traumatizzate queste genti. Un fenomeno che qualche secolo dopo si ripeté in provincia di Belluno quel terribile 9 ottobre del 1963 con lo scivolamento di parte del monte Toc nella bacino idroelettrico del Vajont. E così pure in Valtellina il 29 luglio del 1987 dove le pendici del Pizzo Capretto collassarono producendo una frana enorme che precipitando sbarrarono il corso del fiume Adda.