Agguato a Torre Annunziata, l'incubo della faida e gli affari del clan tra droga e racket

Venerdì 8 Maggio 2020 di Dario Sautto
Agguato a Torre Annunziata, l'incubo della faida e gli affari del clan tra droga e racket

«Ha detto che viene lui dopo mio suocero? Ma quello è una monnezza, non è vero». Era il 2013, quando Giuseppe Carpentieri 50 anni a novembre era ormai prossimo alla scarcerazione e in carcere si vantava del suo «ruolo» di spicco all'interno del clan Gionta di Torre Annunziata. Lo faceva durante i colloqui con i parenti e anche con la moglie, Teresa Gionta, la figlia del capoclan Valentino, legame per il quale è riuscito a scalare le gerarchie nel clan che aveva la sua roccaforte a Palazzo Fienga, la «fabbrica di morte» oggi disabitata e confiscata dall'Antimafia in attesa di un recupero che tarda ad arrivare.

Carpentieri è stato ferito in un agguato mercoledì pomeriggio, mentre era al balcone della sua abitazione in corso Vittorio Emanuele III, come a «Fortapàsc» colpito da sicari appostati sul tetto di un edificio diroccato e disabitato. Carpentieri adesso è ricoverato in prognosi riservata all'ospedale Cardarelli, ma non sarebbe in pericolo di vita. Prima del ricovero, i parenti l'avevano portato al Covid Hospital di Boscotrecase, dove da due mesi non esiste il pronto soccorso e per la rabbia dell'errore avevano minacciato i medici e danneggiato l'ex reparto d'urgenza.

Sul caso i carabinieri del nucleo investigativo e della compagnia di Torre Annunziata portano avanti due indagini parallele. La prima servirà a far luce sull'agguato, la seconda ha già portato all'identificazione di quasi tutti i partecipanti all'assalto all'ospedale boschese con il danneggiamento di alcuni oggetti e l'accesso non autorizzato nell'area riservata solo alla cura dei pazienti infetti dal coronavirus. Per tutti scatterà anche la quarantena obbligatoria.
 

 

Coordinati dalla Dda, gli investigatori stanno lavorando alacremente alle due inchieste, per arrivare al più presto ad incastrare tutti i responsabili. Le indagini portano ad un omicidio mancato, che non sarebbe maturato all'interno del clan Gionta. Non si tratta di un regolamento di conti interno ai «valentini», con i sicari che hanno sparato per uccidere fallendo per pochi centimetri l'obiettivo. Le ipotesi al vaglio degli investigatori sono ancora tutte valide, senza possibilità di escludere nessuna pista per il momento. Chi ha sparato, però, potrebbe far parte di gruppi che occupano i vari quartieri dello spaccio di droga e che vogliono mantenere la loro autonomia dai Gionta e dagli stessi Gallo-Cavalieri, gli storici rivali in pace armata con i valentini. Nonostante l'emergenza coronavirus, anche il clan Gionta sta continuando a gestire i suoi soliti affari illeciti. La droga innanzitutto, ma anche il racket e l'usura. Spaccio ed estorsioni vanno spesso a braccetto, con la camorra che impone il pizzo anche ai pusher, costretti a consegnare la «rata» in percentuale sulle forniture ricevute. Già diverse inchieste hanno dimostrato questo nuovo modo di autofinanziare il clan Gionta, con gli estorsori che minacciano e picchiano chi non paga, arrivando anche a piazzare ordigni, fare «stese» e incendiare auto nel caso in cui agli avvertimenti non seguono i pagamenti. Adesso, però, è concreta la possibilità che questo agguato possa scatenare una faida.

Ad essere ferito è un giontiano della vecchia guardia, che si era guadagnato la fiducia del capoclan Valentino Gionta ottenendo dal boss anche la benedizione per sposare sua figlia Teresa: un legame di sangue che nel linguaggio camorristico significa anche un ruolo di spicco all'interno dell'organizzazione criminale.
Quel ruolo che Carpentieri rivendicava anche in carcere sette anni fa, quando saltò la sua scarcerazione perché fu raggiunto da un nuovo ordine di arresto mentre dava ordini dai colloqui e già riorganizzava il clan. «Dobbiamo uscire undici o dodici di noi diceva io, Alduccio (Aldo Gionta), panzerotto (Luigi Della Grotta). Ora esco e risolviamo tutti i problemi». Nel frattempo il boss poeta e autore del libro «Aldulk il ribelle» tornò libero, riuscì in una latitanza durata due mesi e fu arrestato di nuovo. Della Grotta, invece, è tornato in carcere un anno e mezzo fa, accusato di aver riorganizzato il giro di estorsioni per conto del clan Gionta, accuse per le quali è già stato anche condannato in primo grado. 

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