Il vincente. L’europeista. Il motivatore. E in questa terza veste di Zelensky, lui arriva quasi ad essere ruvido e perfino sferzante: «O voi italiani ci aiutate o i prossimi a combattere saranno i vostri figli».
I tre profili del presidente ucraino non sono maschere perché non si tratta di teatro ma di realtà, anche di cruda realtà, e sono andati contemporaneamente in scena a Roma.
Non dice quando ci sarà l’affermazione sul campo, ma la evoca, ci insiste, la fa lievitare nella sua comunicazione, la fa corrispondere all’idea di «giustizia» («La vittoria non è solo la restituzione dei nostri territori, significa pace giusta e far pagare in tribunale i responsabili di queste stragi») e vuole instillare il senso della vittoria ucraina nell’opinione pubblica italiana dubbiosa e sempre più indifferente alle ragioni del Paese aggredito. E sull’invio di armi, l’ultimo sondaggio Ipsos dice che il 45 per cento degli italiani è contrario e soltanto il 34 è favorevole.
GLI UMORI
L’icona dello Zelensky vittorioso, molto apprezzata da Meloni e da Mattarella, serve appunto a ribaltare questi umori popolari. «Immaginiamo che Putin arrivi nei Paesi della Nato», avverte il leader. «Allora dovrete mandare i vostri cittadini, i vostri padri ed i vostri figli a fare questa guerra perché siete membri dell’Alleanza. Sono pragmatico, ma la vostra società deve capire che è meglio aiutare l’Ucraina che mandare poi i propri cittadini a combattere». Sottolineando anche, occhio al tu che dà a «Giorgia» (Meloni), a «Bruno» (Vespa) e un po’ a tutti, che lui è come noi - una persona dell’Occidente, un uomo che vuole pace e libertà - e invece Putin «è un animale feroce e un piccolo leader che uccide la nostra gente e la sua gente per difendere la propria poltrona».
LA TENUTA
Parla e si muove come un leader che ha il successo già nella tasca. Quella della divisa militare - prima in verde poi con felpa nera dell’esercito in cui svetta il tridente bizantino dell’Ucraina, simbolo nazionale - che indossa scendendo dall’aereo a Ciampino e sfoggia nei vari colloqui. È vestito da soldato e la tenuta da trincea, senza galloni e senza pennacchi, serve a rafforzare il messaggio di chi sta sbrigando la parte diplomatica del suo lavoro ma è pronto a tornare alla lotta. Dedizione (morale), pragmatismo e resistenza: questo deve trasmettere quella divisa da fante. Un milite anche dell’europeismo (e in prospettiva della Nato). Zelensky è l’europeista, appunto uno come noi, e come tale viene ricevuto e trattato. Il pacifismo del Papa lo apprezza ma lui, per ora, non può essere pacifista nel senso che non accetta di lasciare nessuna porzione di territorio alla Russia e a Francesco lo dice con estrema franchezza.
LA GUERRA DI CIVILTÀ
Significativo, da questo punto di vista, il dono che porge al pontefice, in cambio della scultura raffigurante un ramo d’ulivo: l’icona di una Madonna bucherellata dai colpi che stava sul giubbotto anti-proiettile di una vittima dei russi. Ovvero: caro Francesco, prima si abbatte la «belva» poi si tratta la pace. L’unica mediazione possibile è questa. «Non si può trattare con Putin», dirà poi da Vespa, aggiungendo: «Con lui non parlo perché non saprei di che cosa parlare».
E qui c’è il Zelensky motivatore. Quello che non deve convincere solo gli italiani ma tutti (e a questo serve la continua insistenza sui bambini trucidati e rapiti dai russi) che quello in corso è uno scontro di civiltà. Da una parte c’è il Bene, dall’altra c’è il Male. E non si può essere equidistanti. Al motivatore non serve fare polemiche. Come quella che gli scatenò Berlusconi e lui reagì: «Si vede che non ha mai avuto le bombe in casa». E allora, su Salvini ci va leggerissimo: «Non è vero che non voglio incontrarlo. Anzi, lo incontrerei con molto piacere». Gli servono tutti per la «vittoria ucraina». E infatti: «Abbraccio tutti gli italiani», è il suo saluto. Come a dire che la sua vittoria, che è quella dell’Europa, dipende molto anche da noi.
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