KRAMATORSK - I soldati riempiono sacchi di sabbia a rinforzo di nuove trincee poste lungo le arterie d’ingresso principali della città. Il fronte russo si è attestato ormai da mesi a una ventina di chilometri di distanza sul fiume Siverskiy Donets a nord e a est fuori dalla cittadina di Bakhmut. Ma se prima della presa di Severodonetsk qui a Kramatorsk arrivavano solo missili, da mesi ormai anche l’artiglieria continua a martellare la città.
La prof combattente
Davanti alla scuola distrutta a un certo punto arriva una ragazza con un monopattino elettrico. Si chiama Yulia, ha una bandana rossa in testa e indossa pantaloni mimetici. È cambiata molto in questi sei mesi di guerra. Prima dell’invasione era un’insegnante di informatica. Oggi è un soldato. Una scelta maturata nel corso di questi mesi in un contesto di terrore per il ritorno dei separatisti in città «Nel 2014 facevo parte di una minoranza di studenti che appoggiava la rivolta di Maidan, ma in quel periodo era veramente difficile e rischioso avere certe posizioni. Quando i separatisti hanno preso il potere hanno eliminato ogni forma di dissenso. Da bambina parlavo ucraino e gli altri mi consideravano una persona inferiore, come se fossi non istruita solo perché parlavo la mia lingua. Mia madre è nata a Smolensk, in Russia. E all’età di sei anni si è trasferita qui. Anche lei parlava ucraino, e questo grazie alla sua maestra che voleva parlasse ucraino per meglio integrarsi con la gente del posto. Fino a poco prima anche io pensavo che si poteva evitare un conflitto e che le nostre due culture e lingue potessero coabitare. Ma nel 2014 quando hanno iniziato a picchiare gli studenti pro-Maidan mi sono schierata. Andavo tutte le mattine a scuola con una piccola bandiera ucraina nello zaino. Avevo paura di mostrarla, perché la maggioranza delle persone non voleva prendere posizione. Fortunatamente è durato pochi mesi, e siamo stati liberati. Ma oggi siamo di nuovo sulla linea del fronte».
La battaglia
Quando la stazione di Kramatorsk è stata colpita da un missile russo, lasciando sul terreno più di cinquanta morti e centinaia di feriti, tutti civili che stavano cercando di prendere i treni di evacuazione per andare a ovest, Yulia doveva prestare servizio come volontaria proprio vicino a un tendone verde sul primo binario. Un messaggio inviato da un fotografo italiano le salva la vita. Per rispondere si ferma usando il traduttore sul telefonino. Quello che ha vissuto quel giorno non riesce a dimenticarlo. «Credevo di aver perso tutto. Non lavoravo più, non dormivo e non avevo più voglia di fare nulla, poi ho pensato che la mia esperienza come informatica potesse essere di aiuto e mi sono arruolata, e con me mio padre. Sono sulle seconde linee e ho iniziato ad addestrarmi come operatore di droni, ma è un lavoro molto pericoloso. Un ragazzo del nostro battaglione è stato ucciso da un colpo di mortaio, i russi lo avevano individuato. Adesso sto studiando con altri compagni un sistema per confondere le posizioni Gps, in modo da non essere individuati. Volevo rendermi utile per il mio paese, per difenderlo e questo è il mio piccolo contributo». Yulia ha deciso che non parlerà mai più russo. «Per me, che in parte ho origini russe, quella lingua è sepolta e dimenticata».