L’uranio impoverito, o uranio depleto, Du (depleted uranium), è un metallo pesante utilizzato principalmente nella fabbricazione di armi e munizioni, ma non solo.
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Le microparticelle di uranio impoverito, in caso di incendio o esplosione, possono restare nell’ambiente per migliaia d’anni e possono essere dannose. Il nesso tra Du e malattie (soprattutto oncologiche), però, non è sempre stato facile da provare. Dalla Bosnia al Kosovo, l'uranio potrebbe avere ucciso circa 500 soldati italiani in missione. Nonostante diversi tentativi di limitarne l’utilizzo, la variante impoverita non viene considerata così pericolosa da venire paragonata alla bomba atomica e alle armi chimiche. La Corte internazionale di Giustizia, nel 1996, ha stabilito che l’uranio impoverito non sia paragonabile al nucleare, perché «il suo scopo principale non è asfissiare o avvelenare».
Ma come si ottiene l’uranio impoverito? Da 12 kg di uranio naturale si ottiene circa un chilo di uranio arricchito al 5% di 235U - quello più pericoloso: viene utilizzato nelle centrali nucleari e nella costruzione delle bombe atomiche - e 11 chili di uranio impoverito, che è una sorta di scarto del processo di arricchimento. Viene definito “impoverito” perchè durante il processo di arricchimento la percentuale dell’isotopo fissile U-235 viene ridotta dallo 0,7% allo 0,2%. La sua percentuale di radioattività corrisponde a meno del 60% rispetto a quella dell’uranio naturale. La temperatura che si sprigiona nella sua esplosione, comunque, è sufficiente a frantumare il proiettile o la bomba, aumentandone l’effetto distruttivo. Le particelle sprigionate galleggiano nell’aria per poi ricadere a terra. Per via della sua alta densità, una munizione all’uranio impoverito riesce a raggiungere una velocità elevata. Se le particelle di uranio impoverito vengono inalate per un tempo prolungato, c’è il rischio di avvelenamento da metalli pesanti, ma c’è anche la possibilità di sviluppare diverse patologie oncologiche.
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