Ucraina, ospedale in ostaggio a Mariupol: nemmeno i malati si salvano. Kiev teme un attacco pesante

Il vicesindaco: «Nell’ospedale irruzione dei russi, sparano a chi tenta di scappare»

Mercoledì 16 Marzo 2022 di Mauro Evangelisti e Cristiano Tinazzi
Ucraina, ospedale in ostaggio a Mariupol: nemmeno i malati si salvano. Kiev teme un attacco pesante

I russi non risparmiano neppure gli ospedali: li hanno bombardati e, come è successo a Mariupol, li hanno occupati, prendendo medici e infermieri in ostaggio. A Kharkiv i reparti sono pieni bambini e giovanissimi, il personale fa di tutto per salvarli.

Gli invasori continuano a colpire anche la Capitale, lanciando missili contro i palazzi abitati da civili, non contro obiettivi militari.

Kiev

Alle 7 di sera di ieri a Kiev comincia un coprifuoco di 36 ore perché si teme che l’esercito invasore voglia affondare il colpo, entrare in città, colpire strada per strada. Anche ieri sono proseguiti i bombardamenti, furiosi e senza alcuna remora di fronte agli obiettivi civili: in mattinata una serie di attacchi ha interessato un quartiere residenziale, un palazzo di 15 piani è andato a fuoco. Cinque persone sono morte. Ieri si è anche scoperto il bluff del feroce leader ceceno Kadyrov: aveva detto di essere a Kiev, ma sono arrivate immagini che lo mostrano a Grozny. Su un altro fronte, a Sud, nella città che più sta dando filo da torcere ai russi, Mykolaiiv, ancora sparatorie, bombe, altri tre morti: l’esercito di Putin è sempre più violento perché non riesce a vincere la resistenza della città che blocca la marcia verso Odessa.

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Ieri sera mancava la corrente elettrica a Mykolaiiv mentre dalla Crimea, proprio di fronte alla costa, sono partite minacciose 14 navi, divise in tre gruppi, della flotta russa. Direzione: il porto di Odessa. Secondo il Kiev Post dalle immagini via satellite emerge che c’era anche una nave da sbarco di 120 metri. Ha spiegato il governatore Maksiom Marchenko: hanno sparato missili, due i feriti. La linea della tensione è quella a Sud: Odessa ancora non conquistata, Mykolaiiv sessanta chilometri più a Est che resiste.

E poi la città martire, Mariupol, altri 500 chilometri più a Oriente, sul Mar d’Azov, non lontano dal confine con la Russia e da Rostov. Qui i morti sono già 2.500, mancano corrente elettrica, gas, cibo e acqua. Lunedì l’esercito russo ha preso in ostaggio l’ospedale, dove c’è anche la terapia intensiva, con i pazienti, medici e infermieri dentro. In tutto sono 400, compresi anche normali cittadini trascinati dentro. Il vicesindaco Orlov ha detto alla Bbc: «Stanno usando pazienti e medici come ostaggi. Sono in un seminterrato». I russi hanno sparato, ferendoli, coloro che hanno provato a fuggire.

Dalle finestre, secondo Media Human Rights Institute, i soldati invasori sparano contro postazioni dell’esercito ucraino, «sono crimini di guerra». Spostandosi a Nord di 400 chilometri, lungo il confine, ecco Kharkiv. E un altro ospedale, il “Numero 4, nella zona settentrionale. Si tratta del centro ospedaliero funzionante più vicino alla zona dei combattimenti ed è qui, al reparto traumatologico, che vengono portati i feriti di guerra. All’inizio la media degli arrivi era dai 20 ai 25 pazienti al giorno, quasi tutti provenienti da Saltivka, a ridosso della linea del fronte. Ogni giorno e ogni notte, qui si bombarda. E non ci sono differenze per i russi, tra il colpire una palazzina abitata da centinaia di persone, un supermercato o un posto di blocco. Questi casermoni popolari della zona Nord anneriti dagli incendi, sventrati dai colpi, si affacciano su un vasto prato che, a distanza di un paio di chilometri, porta a un bosco. A volte i razzi e i colpi di artiglieria trafiggono come burro questi edifici, lasciando voragini. Le tubature dell’acqua esplose, con la temperatura che è scesa anche di 13, 14 gradi sottozero, ora formano in alcuni punti irreali pavimenti di ghiaccio.

«Ieri abbiamo avuto solo tre feriti, grazie a Dio, gli ultimi giorni ne abbiamo avuti di meno. Adesso abbiamo una quarantina di pazienti feriti dai bombardamenti, tra cui due bambini. Esplosione, proiettili, schegge, queste sono le cause di ricovero - dice il direttore generale di neurochirurgia, Oleksandr Dukovsky - I pazienti li teniamo in corridoio, lontani dalle finestre, per evitare che possano essere feriti dalle schegge dei vetri in caso di esplosioni. Fortunatamente l’esercito è riuscito a spostare i russi più lontano. È arrivata anche una ragazzina da Kupiansk, a 100 chilometri da qui, con una gamba tranciata da una scheggia di bomba e un trauma cerebrale. Abbiamo lottato per 10 giorni ma alla fine se ne è andata. Non sono riuscito a salvarla». Nel reparto di traumatologia infantile ci sono due bambini. Uno è in rianimazione: coma indotto. Ha 8 anni e una scheggia di bomba ferma alla base del collo. «Questo frammento è entrato dalla bocca e non possiamo toglierglielo al momento.

Poi c’è il piccolo Volodymyr Baklanov, sette anni, addormentato in un lettino. Sua madre è morta e lui è stato ricoverato con un proiettile in testa. «Eravamo in prossimità di un checkpoint - racconta il padre Stanislav, ingegnere trentaquattrenne – e mentre ci stavamo avvicinando sono cadute delle bombe, più o meno a trecento metri da noi. C’è stato caos, panico, confusione e la nostra e le altre macchine in fila hanno tentato di allontanarsi. I soldati al checkpoint hanno iniziato a sparare. Purtroppo hanno colpito la nostra macchina e ho perso mia moglie Dariya e lui, ecco, è finito così. Ci stavamo spostando da Saltivka quel giorno. Era il 28 febbraio e c’erano furiosi combattimenti tra esercito ucraino e soldati russi, che erano in parte riusciti a entrare in città. Sembra che adesso, dopo l’operazione che gli ha rimosso dalla testa il proiettile, sia fuori pericolo, ma nessuno sa valutare i danni a livello cerebrale. A volte si sveglia e sembra normale, gli parlo e mi risponde, ma altre si blocca come se fosse immobilizzato, non parla e non risponde. Spero solo che stia meglio e poi me lo porto via. Lontano». Nel reparto di traumatologia degli adulti c’è una ragazza di 18 anni che ha perso un occhio e parte del cranio orbitale. L’onda d’urto di un’esplosione le ha scaraventato una porta addosso.

Famiglia

«Ricoveriamo solo civili», dice uno dei medici del primo soccorso. «Se arrivano soldati, perché qui siamo vicini alla linea del fronte, li stabilizziamo e poi li mandiamo all’ospedale militare. Da quando è iniziata la guerra viviamo qui, non ci muoviamo più per tornare alle nostre case, non possiamo andarcene perché c’è necessità e dobbiamo fare più turni perché non abbiamo abbastanza personale. Io, come tutti i miei colleghi, non sono preoccupato per la mia incolumità, ma piuttosto per mia moglie e i miei famigliari che vivono fuori dall’ospedale».

Ultimo aggiornamento: 17 Marzo, 09:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA