Prima i droni e i lancia-missili a spalla, ora i carri armati di fabbricazione sovietica dell'Europa dell'Est, sostituiti da quelli in arrivo dagli Stati Uniti.
È possibile un'escalation se si passa da aiuti per la difesa a mezzi offensivi come i tank?
«I Paesi Nato stanno fornendo armi alla resistenza dall'inizio, il rischio può aumentare ma credo che neanche Putin abbia interesse a un'escalation, a portare la guerra oltre i confini dell'Ucraina. La fornitura di armi più pesanti, offensive, ha una sua logica nel senso di continuare ad aiutare gli ucraini a resistere all'aggressione in modo brillante come già stanno facendo. L'obiettivo resta quello di creare le condizioni perché inizi un vero negoziato di pace».
Quali condizioni?
«La prima, preliminare e necessaria, è che si arrivi a un accordo, sia pure temporaneo, di cessate il fuoco. Putin però sembra non accettarlo».
Il Cremlino ribadisce che un incontro al vertice tra Putin e Zelensky potrà esserci solo avendo già un accordo scritto specifico. Come andrà?
«Al momento non ci sono le condizioni per un vertice di persona fra i due capi di Stato, prima dev'esserci non dico un accordo già concluso fra le rispettive delegazioni, ma almeno una prospettiva concreta di intesa».
Per gli Stati Uniti la fine della guerra è ancora lontana. Concorda?
«Sì, temo anch'io. Le posizioni di partenza di aggressore e aggredito sono tuttora molto distanti anche sul principio della neutralità dell'Ucraina, mancano molti e fondamentali dettagli perché si possa parlare di una convergenza. E non c'è intesa neppure sull'integrità territoriale».
La scoperta degli orrori di Bucha e delle altre città cambierà qualcosa?
«Purtroppo no, siamo abituati alle atrocità di un conflitto che ha preso subito di mira la popolazione e le ultime notizie, per quanto vadano sottoposte a verifica, sembrano confermare una ferocia nell'offensiva russa che non risparmia gli obiettivi civili».
È ipotizzabile, in risposta agli orrori, una no fly zone imposta dalla Nato?
«No, significherebbe intervenire direttamente, questa è una linea rossa insuperabile per la Nato».