Taiwan, rischiamo davvero una nuova guerra? «Un incidente può far precipitare la situazione»

Per gli esperti un conflitto è improbabile, «ma un incidente può far precipitare la situazione». E gli Usa abbassano i toni

Sabato 6 Agosto 2022 di Marco Ventura
Taiwan, rischiamo davvero una nuova guerra? «Un incidente può far precipitare la situazione»

Guerra improbabile, incidente possibile. Gli osservatori concordano sul fatto che sulla carta nessuno ha interesse a far degenerare la crisi Cina-Taiwan-Usa (e Giappone) in conflitto aperto, nell’anticamera di quella “riunificazione” forzata di Taipei alla Cina continentale alla quale Pechino ambisce dal 1949.

Eppure, tutti riconoscono che le esercitazioni di questi giorni sono le prove generali del blocco navale e dell’invasione dell’isola.

Le prove

Per Chen-kun, professore alla National Defense University di Taiwan, le operazioni congiunte cinesi hanno lo scopo di collaudare «la capacità di muovere unità e impiegare armi di precisione in grado di tagliare l’isola fuori dal mondo e preparare lo sbarco delle truppe anfibie, e comprendono tutte le azioni concrete che vanno intraprese non solo per isolare Taiwan, ma anche per annientarne le difese costiere» Tanto che ieri Pechino ha anche simulato un attacco all’isola. Francesca Manenti, direttrice del Cesi (Centro studi internazionali), osserva che la Cina «doveva flettere i muscoli, per non far passare in sordina la visita di Nancy Pelosi a Taipei e l’accoglienza che ha ricevuto, ma Taiwan non si aspettava esercitazioni della portata che effettivamente hanno avuto. Il pericolo è che in questa fase ci si trovi di fronte a un incidente, qualcosa di non calcolato che possa innescare un’escalation militare, e dipende anche dalla concentrazione di unità nel quadrante. Non solo i taiwanesi, ma gli americani con i quali i cinesi hanno appena interrotto, per ritorsione, la cooperazione e lo scambio di informazioni militari, e i giapponesi nelle cui acque, tuttora contese, sono finiti alcuni missili cinesi».

 

È difficile, però, che anche un incidente possa accendere una vera e propria guerra. Lo dimostrano i toni pacati con cui stanno reagendo Taiwan e gli Usa dopo l’uscita di scena della Pelosi dal quadrante, per quanto l’isola sia stata sorvolata dai missili e abbia subito incursioni marittime e nello spazio aereo. Ma anche la Cina dovrà «rispondere ad alcuni interrogativi» prima di prendere decisioni gravi. Il primo riguarda il legame economico con Taipei. «Anche se è tornata a crescere, l’economia cinese non cresce nella misura che si attendevano a Pechino – osserva la direttrice del Cesi -. Taiwan è il centro del grande gioco dei semiconduttori. Molti dispositivi tecnologici vengono prodotti in Cina, ma il design dei microchip è taiwanese. Anche se piccola, Taiwan è una potenza economica, uno dei centri nevralgici del commercio internazionale». Un altro grande interrogativo è militare: a cosa porterebbe «uno scontro militare a ridosso delle proprie porte di casa, tale da invitare oltretutto gli Stati Uniti a scoprire le proprie carte e uscire da un’ambiguità strategica che però su un punto si è sempre fondata: in caso di aggressione sarebbero intervenuti a supporto di Taiwan? In più, le stesse forze di difesa taiwanesi sono state incrementate con preveggenza, anche qui con l’aiuto degli americani. Non costituiscono una vera deterrenza, quanto meno per lo squilibrio numerico, ma possono dare filo da torcere».

Esperienza

La Cina stessa sarebbe chiamata a dimostrare le proprie capacità militari, che «esistono solo sulla carta, senza che vi sia stato il “grande show” di una guerra navale o anfibia come quella che ci sarebbe con Taiwan». E pesa l’esperienza della Russia, che credeva in poche ore di arrivare a Kiev «e invece è rimasta col cerino in mano, e questo - conclude Manenti - dovrebbe rendere più cauti i cinesi, grandi osservatori delle esperienze altrui». Il fattore economico è cruciale per l’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale). «Tra le ragioni per cui è poco probabile che la crisi a Taiwan diventi un’invasione c’è il diverso peso economico rispetto all’Ucraina». Pechino ha vietato le importazioni alimentari da Taiwan e le esportazioni di sabbia naturale per l’edilizia. «Ma non ha preso di mira i semiconduttori, cuore economico dell’isola: il 40 per cento di tutte le sue esportazioni e il 15 del PIL, e Taiwan rappresenta il 64 per cento del fatturato della produzione mondiale di chip». La domanda è: «Basterà l’industria dei semiconduttori a renderla “too big to be invaded”? Troppo grande per essere invasa?».

Ultimo aggiornamento: 8 Agosto, 10:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA