Ucraina nella Nato. L'ambasciatore Stefanini: «Tempo di decidere, ma il sì è un atto di guerra a Mosca»

L'ex consigliere diplomatico di Napolitano: "Gli Stati devono fare una scelta unitaria, se si dividono fanno un favore al Cremlino"

Sabato 3 Giugno 2023 di Marco Ventura

Zelensky prima ha detto che l'Ucraina è pronta a entrare nella Nato, poi ha ammesso che con la guerra in corso, non è possibile. Si sta studiando un percorso o una formula che possa avvicinare Kiev all'Alleanza atlantica? Secondo l'ambasciatore Stefano Stefanini, ex consigliere diplomatico di Napolitano e rappresentante dell'Italia presso la Nato, si è convinti ormai che «nel lungo termine l'unico modo di garantire la sicurezza di un Paese come l'Ucraina sia entrare nell'Alleanza, lo ha detto pure Kissinger che di solito è prudente. Lo abbiamo visto con Svezia e Finlandia: se sei un Paese europeo nel vicinato della Russia, e su cui Mosca ha vecchie ambizioni o pretese, l'unica garanzia di indipendenza nazionale è la Nato. Possono non preoccuparsene Svizzera, Irlanda o Austria. L'Ucraina o la Georgia sì. Il problema che Zelensky riconosce è che è difficilmente si può accogliere in un'alleanza difensiva un Paese in guerra, si entrerebbe automaticamente in guerra con la Russia, cosa che la Nato assolutamente non vuole».
Che cosa si potrà decidere al vertice dell'Alleanza a Vilnius l'11 luglio?
«Comunque vada, bisogna arrivarci con una decisione già presa. Qualsiasi dibattito facesse emergere orientamenti diversi porterebbe acqua al mulino di Putin. Bisogna non ripetere la promessa da marinai di Bucarest 2008, quando semplicemente si disse: "Ucraina e Georgia saranno membri della Nato". Ma senza il salto di qualità del membership action plan, anticamera dell'ingresso. L'effetto fu di non soddisfare gli ucraini, mandare su tutte le furie Putin, e dare un segnale di debolezza».
Eppure, la collaborazione tra Ucraina e Nato è sotto gli occhi di tutti.
«Infatti.

A eccezione dell'art. 5 che imporrebbe l'intervento degli alleati, l'associazione con la Nato è già di fatto a pieno regime. Nel senso di una consultazione politica costante, della partecipazione di Kiev a tutti i livelli, leader e ministri, alle riunioni Nato, e di addestramento e forniture. I Paesi Nato stanno sostenendo in ogni modo l'Ucraina. E poi la filiera dei contatti politici e militari».

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Ci sono anche settori di collaborazione militare effettiva?
«La collaborazione diretta c'è in campi in cui la Nato sta investendo molto come la sicurezza informatica, la sorveglianza aerea, e in tutto quello che la Nato può fornire all'Ucraina e fornisce».
I raid e gli attacchi in territorio russo cambiano il quadro?
«Sono attacchi infinitesimali rispetto a quelli russi in Ucraina. L'effetto è psicologico. Finora Putin era riuscito a non far sentire ai russi di essere in guerra, se non quel tanto per destarne il sentimento patriottico. Ma quella che è stata venduta ai russi come operazione speciale indolore non toccava la loro vita quotidiana, se non perché hanno chiuso i negozi occidentali o diventa imbarazzante viaggiare in Europa. Adesso che ci sono attacchi sia pur minimi in Russia, i russi possono non sentirsi più sicuri, e diventa più complicata la narrativa del Cremlino di una qualche inviolabilità. Putin è stato capace di dire ai russi: è vero, incontrate difficoltà che non avevate prima, ma è colpa dell'Occidente. Ma sono gli ucraini a colpire in Russia, non gli occidentali! C'è una sproporzione abissale tra quello che la Russia sta facendo in Ucraina e Putin che per un drone su un tetto dice "l'Ucraina è uno Stato terrorista"».

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Perché non è ancora partita la controffensiva di Kiev?
«La risposta in tre parole è: non lo sappiamo. Ma ragioniamo Anzitutto, gli ucraini non hanno abbastanza scorte di munizioni, che non ha nessuno oggi, per un'offensiva prolungata. Può avere buon gioco l'attesa, creando una sindrome da aspettando Godot, e poi quando nessuno se l'aspetta più, l'offensiva arriva. Può darsi che gli ucraini si rendano conto di trovarsi di fronte a difese russe superiori a quelle che si aspettavano. Ciò che ritengo improbabile è che ci sia un calcolo politico dietro al rinvio. La linea di Kiev e degli americani, e in sostanza anche degli europei, è che non è il momento di negoziare, perché è possibile ancora cambiare la situazione sul terreno. Può darsi che gli ucraini aspettino armi che devono arrivare, addestramento da completare... E poi, non è che un'operazione militare venga notificata con preavviso».
 

Ultimo aggiornamento: 5 Febbraio, 11:16 © RIPRODUZIONE RISERVATA