Putin, la ritorsione: niente più petrolio ai Paesi che applicano il price cap

Lo stop alle forniture di petrolio entra in vigore il primo febbraio e sarà valido fino al primo luglio del 2024

Mercoledì 28 Dicembre 2022 di Mauro Evangelisti
Putin, la ritorsione: niente più petrolio ai Paesi che applicano il price cap

Nuova mossa del Cremlino nella guerra sull’energia: Putin ha firmato un decreto per rispondere alla decisione di imporre un tetto al prezzo del petrolio russo e ai suoi derivati. Lo riporta l’agenzia Ria Novosti: il provvedimento vieta la consegna del greggio e dei derivati del petrolio a quei Paesi che hanno firmato l’accordo sul price cap. Lo stop alle forniture di petrolio entra in vigore il primo febbraio e sarà valido fino al primo luglio del 2024. Rischia di interessare anche le esportazioni del gas. Il tetto al prezzo del petrolio di Mosca era stato fissato all’inizio di dicembre a 60 dollari al barile da Unione europea, G7 e Australia.

Alcuni dati: già il 9 dicembre Putin aveva minacciato l’Occidente di «ridurre la produzione» di petrolio; la Russia è il secondo esportatore al mondo e nel 2021 era il secondo fornitore ai Paesi dell’Unione europea; secondo i leader della Ue, il 90 per cento delle esportazioni di petrolio russo verso l’Unione sarà interrotto entro la fine del 2022 per protesta contro l’aggressione dell’Ucraina ordinata dal Cremlino.

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SCONTRI

Nella sanguinosa partita a scacchi sull’Ucraina, c’è anche il nodo della diplomazia. Putin aveva detto: la Russia è pronta a negoziare con tutte le parti coinvolte nel conflitto. Gli ucraini avevano denunciato: non ci fidiamo, è solo un modo per prendere tempo e riorganizzarsi dopo avere perduto posizioni sul campo. Ci ha pensato il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov in un’intervista alla Tass, a spiegare cosa significa per Mosca un accordo di pace: la resa di Kiev con la concessione di tutti i territori annessi. Le parole esatte di Lavrov: «Il nemico è ben consapevole delle nostre proposte sulla smilitarizzazione e la denazificazione dei territori controllati dal regime di Kiev, l’eliminazione delle minacce alla sicurezza della Russia che include i nostri nuovi territori (le repubbliche di Donetsk e Lugansk e le regioni di Kherson e Zaporizhzhia).

 

Non resta molto da fare: accettare queste proposte in modo amichevole, o in caso contrario sarà l’esercito russo ad occuparsi della questione». Sintesi: per Mosca sedersi al tavolo dei negoziati non significa mediazione o compromesso, ma resa dell’Ucraina. Non è esattamente una proposta che Kiev, dopo dieci mesi di combattimenti e sacrifici della popolazione, possa accettare. Le minacce esplicite di Lavrov hanno involontariamente confermato quanto ha sempre detto il governo ucraino, secondo il quale non bisogna fidarsi dei proclami di Putin. Lavrov ha anche confezionato, in modo neanche troppo velato, nuove minacce contro l’Occidente: «La politica occidentale di contenimento totale del nostro paese è estremamente pericolosa. Comporta il rischio di scivolare in uno scontro armato diretto tra potenze nucleari». Zelensky sta comunque continuando a lavorare al vertice per la Pace, da tenersi il 10 febbraio, con la mediazione delle Nazioni unite. Ieri per l’ennesima volta sono risuonate le sirene di allarme anti aereo in tutta l’Ucraina: dalla Bielorussia, secondo il gruppo di monitoraggio Gayun, si sono alzati in volo MiG-31K “Kinzhaliv” e l’aereo di tracciamento radar a lungo raggio Il-76 A-50. Bombe a Kherson sul reparto di maternità. Il consigliere del sindaco di Mariupol ha accusato i mercenari della Wagner, fedelissimi di Putin, della strage di una famiglia di otto persone a colpi di pistola alla testa nel Donetsk. Tra le vittime due bambini di 7 e 9 anni.

Ultimo aggiornamento: 29 Dicembre, 09:22 © RIPRODUZIONE RISERVATA