Putin ha rinunciato a Kiev? Cosa può succedere dopo il Donbass: l’analisi militare in Ucraina provincia per provincia

Il Donbass oggi è il termometro con cui misurare l'aumento della temperatura del conflitto e provare a comprendere se e come questo si espanderà

Lunedì 30 Maggio 2022 di Francesco Malfetano
Putin avanza nel Donbass, ma ha rinunciato a Kiev? L analisi militare in Ucraina provincia per provincia

Ancora una manciata di ore e saranno già cento i giorni di combattimenti in Ucraina. Poco più di tre mesi in cui il sanguinoso piano del Cremlino ha dovuto adattarsi più e più volte alla inattesa capacità di resistere del popolo guidato da Volodymyr Zelensky. Al punto che, dopo gli iniziali distruttivi tentativi, il Cremlino sembra aver momentaneamente accantonato l'idea di conquistare la capitale Kiev. Oggi infatti il centro nevralgico del conflitto è tornato ad attestarsi nella regione in cui la guerra va avanti non da pochi mesi, bensì da 8 lunghi anni: il Donbass. Ebbene, nonostante nla massiccia presenza russa nell'area più a est del Paese, la regione ucraina non è stata ancora del tutto conquistata. Città che come Mariupol o Luhansk sono state quasi rase al suolo o trasformate in macellerie, ora potrebbero diventare il ponte da cui lanciare nuove offensive. Come spiega il quotidiano il quotidiano inglese The Guardian, «con quale grado di completamento e velocità Vladimir Putin raggiunge i suoi obiettivi nel Donbas può determinare come e se altre parti dell'Ucraina torneranno in gioco».

Il termometro Donbass

In altri termini, il Donbas oggi è il termometro con cui misurare l'aumento della temperatura del conflitto e provare a comprendere se e come questo si espanderà. Cioè se i tentativi del Cremlino di attaccare la capitale o le altre regioni ucraine - oltre a tutto il fronte sud già conquistato o comunque sotto attacco - riprenderanno o meno nelle prossime settimane.

Sul campo la situazione non è ovviamente così definita. In Donbas i tentativi di accerchiare tutte le forze ucraine sono stati abbandonati in favore di un obiettivo più modesto, cioè creare "calderoni", accerchiamenti più piccoli che tagliano gli ucraini da rifornimenti e rinforzi. Così, provando a spingersi più a ovest possibile, da meno di dieci giorni l'attenzione russa si è concentrata sulla città di Sievierodonetsk, dove il governatore locale Serhiy Haidai ha affermato che il Cremlino ha già schierato 10.000 soldati per attaccare la città. Un'offensiva imponenente che nasconde una precisa strategia: «Se la Russia prenderà Sievierdonetsk - scrive l'autorevole quotidiano britannico - controllerà l'intera regione di Luhansk e potrà concentrarsi maggiormente su parti di Donetsk che ancora non controlla».

I territori occupati

Intanto però c'è una parte dell'Ucraina che è già finita sotto il controllo del Cremlino. E anche i segnali che arrivano da lì permettono di comprendere come il conflitto difficilmente può considerarsi vicino ad un punto di svolta. Perché? Innanzitutto va chiarito che a differenza di quanto fatto con la Crimea nel 2014, quando la regione ucraina venne sostanzialmente annessa, finora Mosca ha rifiutato di inglobare le aree in suo controllo nella parte orientale del Paese preferendo sostenerne le amministrazioni separatiste. Una strategia che pare però essere venuta meno dato che ora si parla insistentemente «di una rapida annessione delle parti delle province di Kherson e Zaporizhzhia che la Russia ha conquistato nei primi giorni dell'invasione». Territori che, al contrario di Mariupol, sono stati in gran parte presi senza combattere. Aree in cui Mosca ha quindi potuto concentrarsi sulla repressione del sentimento pro-ucraino e alla ridefinizione di un modello di vita. Tant'è che non solo la Russia starebbe introducendo il rublo e il fuso orario di Mosca - o la riqualificazione del curriculum degli insegnanti in russo - ma starebbe anche imponendo agli abitanti «un corso di denazificazione». Si prepara appunto ad un'annessione che, se formalmente avviata, avrebbe conseguenze enormi «per la prospettiva di un accordo di pace» perché l'Ucraina non accetterà la perdita di queste aree, ma se lanciasse un contrattacco, la Russia potrebbe affermare che l'Ucraina ha attaccato il territorio russo.

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Kiev e Kharkiv

Per quanto le forze di Mosca ora si stiano concentrando sul Donbas, non è affatto detto che l'area orientale sia sufficiente a saziare la fame di guerra di Putin. Tant'è che la scorsa settimana, il notiziario in lingua russa Meduza citando fonti del Cremlino ma sostenuto che il presidente russo non si è affatto arreso all'idea che Kiev sia da lasciare in mano a Zelensky (nella Capitale la vita sta tornando pian piano alla normalità. Dopo la ritirata di inizio aprile la città non è più stata minacciata). Anzi, «potrebbe lanciare un altro assalto una volta che la battaglia per il Donbas sarà finita».

Un ragionamento che può facilmente essere esteso alla seconda città più grande del Paese. Anche Charkiv infatti è stata sotto attacco nei primi giorni della guerra. E anche Charkiv è stata capace di mettere in campo una forza di resistenza tale da bloccare le truppe del Cremlino nella periferia della città. A differenza di Kiev però gli invasori non sono così distanti, al punto che giovedì scorso - a quasi due settimane dall'ultima volta - diverse aree cittadine sono state bombardate causando la morte di almeno 9 civili. Al momento però, spiegano alla stampa internazionale i comandanti ucraini attivi in quella area, che non vi sono segnali di nuova avanzata ma di un consolidamento che - si suppone - possa essere il primo step di un'offensiva successiva. «Stanno pianificando qualcosa» secondo un comandante citato dal Guardian. «Potremmo scoprire di cosa si tratta solo quando accadrà».

Ultimo aggiornamento: 19:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA