NURSULTAN (Kazakhstan)
– Dieci secondi di silenzio trascorsi in preghiera per mettere fine a tutti i conflitti dei mondo, ma non si parla di Ucraina: 81 leader religiosi hanno risposto alla chiamata del governo kazako e si trovano seduti attorno ad un enorme tavolo circolare nella avveniristica sala da congressi. Grandi schermi, traduzioni simultanee ma ben poche attese su un dibattito effettivamente condizionato dalle gabbie politiche causate dalla situazione esplosiva internazionale. Il convitato di pietra resta il Patriarca ortodosso Kirill, che ha defezionato all'ultimo minuto, per essere stato definito un tirapiedi di Putin da Papa Francesco e perchè non condivide l'impostazione occidentale sul conflitto in corso: Kirill continua a benedirlo e definirlo moralmente giusto. «Dio è pace e non conduce alla guerra» gli replica indirettamente Bergoglio.
Il pontefice fa ingresso in sala in carrozzella e si siede accanto all'imam del Cairo, Al Tayyen.
A Papa Francesco spetta parlare per secondo dopo l'intervento del presidente kazako Tokayev. Così parte da una lunghissima disamina sulla libertà religiosa come diritto fondamentale che bisogna promuovere e che non può limitarsi alla sola libertà di culto. «Relegare alla sfera del privato il credo più importante della vita priverebbe la società di una ricchezza immensa». Poi affronta il grande terreno della solidarietà, linguaggio capace di superare ogni barriera. Chiede di non «assecondare uno sviluppo insostenibile che non rispetti i limiti imposti dal creato; di non lasciarsi anestetizzare dal consumismo che stordisce, perché i beni sono per l’uomo e non l’uomo per i beni. Insomma, la nostra comune vulnerabilità, emersa durante la pandemia, dovrebbe stimolarci a non andare avanti come prima, ma con più umiltà e lungimiranza».
Per il futuro il Papa indica il sentiero della cura, della compassione, «occorre diventare artigiani di comunione, testimoni di una collaborazione che superi gli steccati delle proprie appartenenze comunitarie, etniche, nazionali e religiose». Quanto al dialogo, dice, si può solo rafforzare se si porta avanti «pensando in particolare ai bambini e alle giovani generazioni. Ripete che le religioni devono stare dalla parte dei poveri. «È la via della compassione, che rende più umani e più credenti. Sta a noi, oltre che affermare la dignità inviolabile di ogni uomo, insegnare a piangere per gli altri, perché solo se avvertiremo come nostre le fatiche dell’umanità saremo veramente umani». La pace si costruire lentamente, non è il frutto di lunghi estenuanti incontri diplomatici, ma un impegno costante. «Dio è pace e non conduce mai alla guerra. Investiamo in istruzione e non in armamenti».
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