Ostaggi di Hamas, Bezalel Schnaider: «Mia sorella uccisa in strada, i miei nipotini portati via. I palestinesi? Vittime come noi»

Tra i familiari due morti e quattro ostaggi. «Non voglio i dettagli sulla fine di Marghit. Non provo odio per i palestinesi: sono vittime di Hamas come noi»

Venerdì 10 Novembre 2023 di Raffaele Genah
Ostaggi di Hamas, Bezalel Schnaider: «Mia sorella uccisa in strada, i miei nipotini portati via. I palestinesi? Vittime come noi»

Il confine tra il dolore che stringe lo stomaco e la preoccupazione che toglie il fiato è impalpabile. Questi trenta giorni, dal terribile 7 ottobre, Bezalel Schnaider li ha vissuti in una tempesta di emozioni che hanno trovato qualche riparo solo nella fede. Origini peruviane, 72 anni di cui 53 vissuti in Israele, è uno dei familiari degli ostaggi al quale la sorte di quel tragico sabato non ha risparmiato nulla. Un sabato di preghiera per lui, come per gli altri della sua comunità di Bnei Brak, alle porte di Tel Aviv. La notizia degli orrori compiuti da Hamas irrompe nelle case e nelle sinagoghe.

Sua sorella Marghit abita a Nir Oz, uno dei kibbutz di confine insieme al marito Yossi Silberman, da sempre impegnato in attività a sostegno della pace con i palestinesi e nell’aiuto ai più deboli. Il loro telefono squilla a vuoto per tutto il giorno e poi la mattina seguente. I volontari che sono entrati in quella casa data alle fiamme, non trovano i loro corpi e questo lascia intendere che siano stati rapiti. 

La giovane coppia 

Nello stesso kibbutz, a poca distanza vive la loro figlia Shiri col marito Yarden Bibas e i due bambini Ariel, 4 anni, e Kfir, di appena 9 mesi. Una famiglia felice e unita che aspira ad un presente e ad un futuro di pace. Arrivano i macellai di Hamas irrompono nella loro casa. Quello che succede dopo lo raccontano due brevi filmati realizzati da loro stessi nella folle speranza di consegnarsi così alla storia oltre che alla più becera propaganda. Spari, colpi in aria a cui segue l’irruzione nell’abitazione facendosi largo tra i giochi dei bambini sparsi per terra. Poi l’immagine di Shiri, disperata, che stringe i due figli tra le sue braccia, poco più di due fagottini, avvolti in una coperta da cui spuntano solo i ciuffi dei loro capelli rossi. L’altro filmato mostra invece il marito Yarden, caricato su una motocicletta, con la testa sanguinante e portato via.
«Pregavamo per tutti loro, perché potessero tornare a casa» dice oggi Bezalel con la voce incrinata dalla commozione. Così è andato avanti per due intere settimane. «Poi ci hanno avvertito che i corpi di mia sorella e mio cognato sono stati ritrovati lungo la strada per Gaza. Io sono molto triste, ma non ho voluto chiedere come sia successo». «Questo è un momento molto difficile per tutti in Israele - riprende fiato Bezalel - quando la gente è venuta a casa mia per farmi le condoglianze avevano loro stessi bisogno di essere consolati: erano addolorati, non avevano mai pensato di vedere niente di simile». 
Oggi i familiari chiedono al mondo di tenere un faro acceso sulla loro tragedia. 
«Non capiamo perché la Croce rossa non si muove: è passato più di un mese e non hanno fatto niente. Non hanno denunciato le atrocità, non hanno chiesto di poter vedere dove sono gli ostaggi e in quali condizioni sono tenuti per capire anche il loro stato di salute. Mia sorella, se fosse stata in vita e fosse stata portata via con gli altri sequestrati, non sarebbe sopravvissuta avendo bisogno di farmaci molto particolari. E questo può valere anche per altri».

I responsabili

Nelle parole di Bezalel, non c’è odio, ma la chiara volontà di distinguere i palestinesi da Hamas, responsabili di tutto: «Non vogliono vivere in pace non solo con Israele, ma anche con gli stessi palestinesi: hanno distrutto le loro case, li hanno affamati e usati per difendere se stessi». 
Quanto alla decisione del governo di andare avanti con l’operazione di terra «non c’è altra scelta. A loro non chiedo come intendano muoversi, chi lo fa deve sapere che non potrà avere risposte precise e dettagliate. Noi possiamo solo affidarci e fidarci di loro».

Appello ai governi 

«Intorno a noi, in giro per il mondo, sentiamo la solidarietà, ma non abbastanza, per questo invochiamo uno sforzo ulteriore. Al governo italiano, come a quelli di altri Stati, alle organizzazioni internazionali chiediamo di insistere - anche attraverso i paesi arabi - e di mantenere alta la pressione su Hamas perché liberi tutti i sequestrati. Loro chiedono un atto umanitario, e anche noi chiediamo un gesto non meno umanitario: fateli tornare subito a casa». 

Ultimo aggiornamento: 11 Novembre, 08:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA