La storia di Danny e Pete: «Abbiamo trovato un neonato in metro, oggi è nostro figlio»

Lunedì 5 Aprile 2021 di Riccardo De Palo
La storia di Danny e Pete: «Abbiamo trovato un neonato in metro, oggi è nostro figlio»

Questa è una storia a lieto fine, con una lezione da imparare: bisogna sempre anteporre il bene dei bambini a qualsiasi altra considerazione, e soprattutto ai nostri pregiudizi (se ne abbiamo). Danny Stewart ha raccontato la sua storia alla Bbc online. Era il 28 agosto 2000, e lui si stava affrettando per incontrare il fidanzato con cui aveva un appuntamento, quando la sua attenzione fu attirata da qualcosa per terra, in una stazione della metropolitana di New York

Erano circa le otto di sera, era passata da poco l’ora di punta e un treno stava transitando in quella banchina, proprio sotto alla quattordicesima strada, nel quartiere di Chelsea, a Manhattan.  Danny Stewart aveva 34 anni ed era in ritardo per la cena con il suo parner, Pete Mercurio, di due anni più giovane di lui.

«Vidi, nel pavimento vicino al muro, qualcosa che sembrava un bambolotto», ricorda Danny.

L’uomo continuò a camminare e a salire le scale verso l’uscita, ma poi si volse di nuovo, e si accorse che le gambe di quello che gli era sembrato un giocattolo buttato via si erano improvvisamente mosse. Danny riscese le scale, e si accorse che non si trattava di un bambolotto, bensì di un neonato, avvolto in una maglietta nera, da cui spuntavano i suoi piedini.

«Non aveva vestiti, era soltanto avvolto in quella maglietta. Aveva ancora parte del cordone ombelicale attaccato, e quindi mi resi conto che forse aveva al massimo soltanto uno o due giorni di vita».

Danny urlò. «Per favore, chiamate la polizia». Ma la gente continuava a defluire, e quasi tutti lo ignoravano. I cellulari non erano ancora diffusi, e così l’uomo salì le scale e chiamò il 911 da una cabina a gettoni. Ma non si fece vivo nessuno. Soltanto dopo molte altre chiamate e l’intervento di Pete - che nel frattempo stava arrivando anche lui in stazione - il bambino fu preso in consegna dagli agenti, che lo portarono in ospedale. 

Il giorno dopo, la notizia del ritrovamento di un bambino in metropolitana era su tutti i giornali, e Danny veniva descritto come l’eroe che aveva ritrovato quel neonato che pesava appena tre chili, e veniva descritto come un bambino ispanico con in testa ciuffi di capelli scuri.

Danny voleva scoprire chi fosse quel bambino, e si rivolse all’ospedale per saperne qualcosa, ma senza successo. In materia di privacy, certe istituzioni hanno regole ben precise. Così Danny e Pete tornarono alla loro vita di tutti i giorni. Il primo al suo lavoro di assistente sociale, e il secondo alle sue attività di scrittore di drammi e web designer. 

Il caso approda in tribunale

Ma non molti mesi dopo, Danny fu chiamato dall’Amministrazione per i Servizi per l’Infanzia, per avere tutte le informazioni possibili sul bambino, e testimoniare davanti a un giudice per spiegare l’accaduto. E così si ritrovò in tribunale. Quando ebbe terminato con la sua deposizione, fu la volta della polizia. Al termine, la giudice espresse la sua determinazione a dare in adozione in tempi brevi il bambino, e chiese se Danny fosse interessato. 

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Danny ricorda la sua sopresa, e di avere detto “sì, ma non credo sia facile” avere bambini in adozione. La giudice rispose. “Beh, può anche esserlo”.

Il processo di adozione richiese sei-nove mesi, dopo un’accurata analisi del suo background familiare, e alcuni corsi specifici per diventare genitori. «Non avevo pensato di adottare un bambino - ricorda Danny - ma allo stesso tempo, mi sembrava una opportunità, un dono. E non si può dire no a un dono del genere».

La sua scelta provocò litigi con il partner. «Non avevamo soldi, vivevamo ancora con un altro inquilino - ricorda Pete - non volevo che la mia vita cambiasse, ero felice di come stavamo. E poi chiedevo a Danny: come hai potuto accettare senza neanche consultarmi?»

Danny era deciso ad andare avanti, anche al prezzo di chiudere la relazione. Ma poi successe qualcosa. Danny convise Pete ad andare  a trovare il bambino nella casa in cui veniva assistito. Danny gli disse: «Ti ricordi di me»? E lui sembrò calmarsi. Quando fu il momento di Pete di tenere in braccio il piccolo, avvertì “un’ondata di calore”. «Il bambino mi stringeva un dito e mi osservava, e quella semplice pressione sul dito raggiunse il mio cuore e mi convinse che da allora sarei stato uno dei suoi genitori, uno dei suoi padri».

 

Tornarono in tribunale, il 20 dicembre di quello stesso anno, e la giudice decise di affidarlo a loro da subito per il periodo di vacanze natalizie. «Come? Già ora?» Due giorni dopo era in casa con loro. Doveva essere solo per un breve periodo di prova; non dovette andarsene mai più.

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Il processo di adozione fu ritardato dai fatti dell’11 settembre - il tribunale per l’infanzia era proprio vicino a Ground Zero - ma fu finalmente completato il 17 dicembre del 2002. Decisero di chiamare il bambino Kevin. Un delizioso piccoletto che amava ascoltare i suoi genitori mente gli leggevano storie dai loro libri preferiti. 

Il matrimonio

Nel 2011 lo stato di New York fu il sesto a legalizzare i matrimoni gay, e Danny e Pete decisero immediatamente di sposarsi. Chiesero di poter essere uniti dalla stessa giudice che aveva affidato loro il bambino (e che non ha voluto essere nominata): accettò di assolvere al suo compito con entusiasmo.

Kevin oggi è un ventenne che studia matematica e informatica in un college, ed è più alto dei suoi genitori. Ha studiato danza, gioca a frisbee e ha partecipato a molte maratone; è molto intelligente e quando vuole imparare qualcosa, ci si mette da solo: è così che ha imparato a suonare il piano e la chitarra. I genitori lo definiscono un ragazzo sempre molto rispettoso, empatico e gentile, ma anche con uno spiccato senso dell’umorismo. 

Danny oggi ha 55 anni, e non riuscirebbe a immaginare una vita diversa da quella che ha vissuto. Pete ha scritto un libro per bambini ispirato alla loro storia, “Our Subway Baby”. 

Ultimo aggiornamento: 6 Aprile, 16:06 © RIPRODUZIONE RISERVATA