La cronaca giudiziaria della città di New York negli anni Novanta fu dominata dalle gesta di John Ruffo, un italoamericano nato in una modesta famiglia di Brooklyn che era riuscito a truffare una dozzina di banche nel corso di anni e a farsi consegnare 350 milioni di dollari per un progetto tanto fantasioso quanto inesistente nella realtà.
La polizia cittadina pensava che avesse trovato rifugio nella residenza atavica in Sicilia, e che vivesse l’esilio dorato che i soldi trafugati potevano garantirgli. La sua storia torna oggi alla ribalta con un altro colpo di scena: l’Fbi rivela di averlo identificato nelle riprese televisive di una partita di baseball disputata il 5 agosto del 2016 a Los Angeles. Ruffo sedeva quella sera dietro la postazione del battitore dei Dodgers, nella prima sezione dello stadio, fila EE, poltrona numero 10.
John era un pioniere dell’ingegneria dei computer e già negli anni Ottanta aveva fondato una sua società che rivendeva agli uffici newyorkesi le voluminose macchine della IBM. Fu accostato da Edward Reiners, ex dipendente della Philip Morris, e insieme i due concepirono un piano criminale ambizioso. Proposero ad un ventaglio di banche di finanziare un progetto segretissimo della casa produttrice di tabacco per la realizzazione di una sigaretta che bruciasse senza emettere fumo. Convinsero i creditori che lo studio era così riservato che la Morris non ne avrebbe mai riconosciuto l’esistenza, in un confronto diretto con gli istituti finanziari. Il raggiro durò abbastanza a lungo da permettere ai due soci di accumulare 350 milioni di dollari, poi in buona parte sperperati in investimenti folli a Wall Street. Nonostante questo Ruffo riuscì a pagare una cauzione di 10 milioni di dollari quando finalmente la procura di Manhattan lo trascinò in tribunale.
LA FUGA
Il carcere era fuori città e bisognava evitare che scattasse l’allarme. La telecamera di un bancomat lo immortalò due ore dopo mentre ritirava del contante, che il condannato usò per affittare una vettura, poi ritrovata nel parcheggio dell’aeroporto JFK.