Boris Johnson e i travestimenti da lattaio, panettiere, operaio: così il leader conservatore ha conquistato il Paese

Venerdì 13 Dicembre 2019 di Cristina Marconi
Lattaio, panettiere, operaio così il leader conservatore ha conquistato il Paese
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LONDRA Boris il lattaio, Boris il panettiere, Boris alla guida di una ruspa. I mille travestimenti sono serviti ad accompagnare un uomo con un solo messaggio, «fare la Brexit», ripetuto come un automa con l’unico scopo di farsi votare e di non sbagliare in una campagna elettorale che l’ha visto più controllato che in passato, addirittura un po’ teleguidato da uno staff che ha cercato di imbrigliarne gli eccessi ed evitare scivoloni.

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LA FORTUNA
Alla fine di alcune settimane di robotica performance, gli scivoloni ci sono stati, ma a Boris i britannici non chiedono perfezione: gli chiedono fortuna, faccia tosta e un po’ di intrattenimento. E quindi la stizza e l’indifferenza dimostrate davanti all’immagine del bambino sdraiato per terra in una corsia d’ospedale e la fuga in un frigorifero per sfuggire alle domande di un giornalista hanno intaccato Boris ma non l’hanno sconfitto, perché gli elettori hanno scelto il meno peggio e questa volta si sono fatti sedurre da una promessa più che dal personaggio, perché quest’ultimo è uscito un po’ ammaccato dalla prima esperienza a Downing Street. Ma Boris farà la Brexit e gli inglesi vogliono la Brexit.

E poi lo conoscono bene, sono decenni che la sua zazzera bionda incombe sul dibattito politico britannico: da giornalista, da deputato o da sindaco di Londra, Boris Alexander De Pfeffel Johnson, nato bene, anzi benissimo a New York nel 1964, ha sempre usato lo strumento dell’esagerazione per farsi notare, odiare e poi eventualmente perdonare grazie a quella gigioneria che ha fatto cadere tra le sue braccia molte donne.



LA FIDANZATA
L’elegante fidanzata Carrie, giovanissima e capace, autrice della nuova immagine elettorale più sobria, non è apparsa molto e soprattutto non è apparsa ieri mattina al seggio elettorale, dove il premier si è presentato con il cane Dilyn con tanto di fazzoletto al collo, mentre l’immagine femminile più spesso associata a Boris sui giornali è stata quella, più ruspante, della businesswoman americana Jennifer Arcuri, che dalla sua relazione con l’ex sindaco avrebbe tratto fondi per le sue attività e accesso a viaggi e eventi. «Recitavamo Shakespeare come preliminari», ha raccontato Jennifer, e anche questo ha fatto ridere ed è stato in qualche modo perdonato, perché da Boris non ci si aspetta nulla di meno. Pirotecnia, capacità di rimbalzare e soprattutto, in questo caso, piegare le regole della logica continentale per ottenere tutto e subito in questa Brexit eterna e logorante.

Il vecchio socialista Corbyn, con le sue promesse economiche punitive, ha fatto paura alla massa, alla pancia del paese e lui, operaista, si è fatto soffiare il voto ex operaio dal più metropolitano dei leader, di alto lignaggio, con sangue turco e russo nelle vene, figlio di Eton e di Oxford, di quel Bullingdon Club in cui lui, David Cameron e George Osborne distruggevano ristoranti, o almeno così narra la leggenda, con i loro smoking e i loro accenti aristocratici, indelebili anche nel latino parlato correntemente e nella cultura letteraria e soprattutto storica sfoggiata con disinvoltura.
E meno male che i britannici si erano stancati delle elites. Consigliato dal mago Dominic Cummings, che dopo aver fatto nascere la Brexit con i suoi slogan brillanti ha portato alla vittoria un leader che è tutto un difetto, imbrigliando il suo unico talento, ossia la retorica, per mettere Boris al servizio dell’ossessione che lui stesso aveva contribuito a creare.

Ultimo aggiornamento: 12:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA