Donetsk, artiglieria e truppe: russi assediati in aeroporto. I soldati ucraini: «Li rimanderemo indietro»

Lo scalo è in mano ai soldati di Mosca. Gli ucraini: li rimanderemo indietro

Lunedì 11 Aprile 2022 di Davide Arcuri
Donetsk, artiglieria e truppe: russi assediati in aeroporto

È una domenica delle Palme diversa dal solito nel Donbass, è una domenica di guerra. Il forte vento primaverile sembra quasi coprire il suono delle sirene antiaereo che strillano già di prima mattina. I boati dei bombardamenti quelli no, non si possono annullare nemmeno con il fruscio del vento.
Il villaggio di Pisky è l'ultima postazione di difesa ucraina a meno di un chilometro in linea d'aria dall'aeroporto di Donetsk, occupato dalle truppe russe. Lungo la strada incontriamo diverse colonne di mezzi militari ucraini, carri armati fuori uso che tornano, cannoni d'artiglieria che vanno. Già venti chilometri prima della città si iniziano a vedere le trincee costruite in previsione di una futura avanzata.
A due chilometri da Pisky l'esercito sta costruendo l'ennesimo checkpoint.

Un camion con una piccola gru sposta un enorme blocco di cemento che servirà a costruire una postazione di combattimento. L'ingegnere militare prende appunti sul suo taccuino e impartisce ordini al macchinista, mentre un soldato sposta la striscia chiodata per liberare la strada: «Bisogna fare in fretta, ogni minuto è prezioso».

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Protesi e cicatrici

Yura è un soldato di 30 anni, combatte da quando ne ha 22. Suo figlio invece ha sei anni, è nato durante la guerra mentre suo padre era in prima linea. Già nel 2014 Yura è stato colpito da un colpo di mortaio. Sorride mentre ci mostra la protesi alla mano e le cicatrici alle gambe: «Io sono nato qui a Pisky, combatto per difendere la mia terra. Sono sicuro che vinceremo noi questa guerra».
Ad accompagnarci al fronte c'è anche Irina, una donna minuta di 51 anni con gli occhi azzurri e uno sguardo da guerriera. Si occupa dei rapporti con la stampa e fa parte del Battaglione Sarmat Brigata Mariupol ci tiene a sottolineare con orgoglio. «Dobbiamo fare massima attenzione, i russi sparano sui civili, sui volontari, sui giornalisti, non fanno nessuna differenza».

La determinazione di Irina riesce a rassicurarci, ma dura poco: «I russi sono a 100 metri dalla nostra posizione». L'aeroporto di Donetsk è stato reso inutilizzabile dai bombardamenti già nei primi giorni di guerra. «Qui gli aerei russi non passano, altrimenti li abbattiamo» afferma con sicurezza Irina e quando le chiediamo se è spaventata, lei risponde con freddezza: «No tranquilli, non ho paura. Sono certa che riusciremo a rimandare i russi indietro e a liberare la nostra terra».

Raggiungiamo la prima linea, bisogna fare attenzione a dove si mettono i piedi, tutto intorno il campo è minato. «Ci sono lunghi momenti di tranquillità, poi da un momento all'altro si scatena l'inferno - spiega Yura -. Se succede qualcosa mi raccomando tutti a terra». Camminiamo svelti a testa bassa fino alla zona di combattimento. «Vedi quella collina? I russi ci stanno guardando» dobbiamo evitare movimenti bruschi o rumori che potrebbero scatenare l'inferno fra i due fronti. «L'attacco potrebbe arrivare da un momento all'altro - spiega Yura -. Ieri i combattimenti sono iniziati nel tardo pomeriggio e sono andati avanti fino a tarda notte».

La paura

Michael è lo psicologo della brigata, il suo ruolo è fondamentale per tenere alto l'umore dei commilitoni. «Guardate qui, questo l'ho girato ieri» ci mostra dal suo smartphone un video impressionante. Michael è seduto nella stessa trincea dove ci troviamo noi, si riprende con una granata di sfondo mentre un carro armato russo gli spara una cannonata: «Lo ammetto, in quel momento ho avuto paura» anche se dal video non si direbbe vista la sua espressione quasi divertita mentre rischia di morire. «La differenza tra noi e i russi è che noi combattiamo per la nostra gente, loro non sanno per cosa combattono».
Il capitano del battaglione ci invita a vedere le camerate dove dormono i soldati. Un tunnel scavato nella collina in grado di resistere ai colpi di mortaio e alle cannonate. Sembra di tornare indietro alla prima guerra mondiale: i letti a castello fatti di legno tutti in fila con la bandiera dell'Ucraina di sfondo. Ci sono anche alcuni tunnel di collegamento con le altre trincee ma il capitano ci ferma «oltre non potete andare».

Prima di andare Irina ci tiene a fare un'ultima dichiarazione: «È un messaggio per l'Italia, siete nostri amici, grazie per tutto il supporto ma ricordate una cosa: non stiamo combattendo solo per gli ucraini, per la nostra terra, questa è una battaglia per la democrazia, stiamo combattendo anche per voi».

Ultimo aggiornamento: 12:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA