Per mesi, nella prima fase della guerra, russi e ucraini si erano scambiati accuse su chi volesse davvero buttar giù la diga di Kakhovka, e alla fine gli uni o gli altri ci sono riusciti. Il suo valore strategico era decisivo nel conflitto e si trattava solo di scegliere il momento adatto per farla saltare. Parliamo di 30 metri di diga e di un bacino da 18 milioni di metri cubi di acqua, riserve pari a quelle del Grande Lago Salato dell’Utah, e ricadute da un lato sulle procedure di raffreddamento a medio termine della centrale nucleare di Zaporizhzhia, a 160 km, dall’altro sull’approvvigionamento idrico dell’intera penisola di Crimea.
In ogni caso, stando all’ex ministro dell’Ecologia ucraino Ostap Semerak interpellato dal “Guardian”, si avrà «un impatto su Romania, Georgia, Turchia e Bulgaria, con danni per tutta la regione, in pratica è la più grande catastrofe ambientale in Europa negli ultimi 10 anni e la peggiore in Ucraina da Chernobyl del 1986».
I russi, infatti, avevano conquistato Kakhovka all’inizio della guerra. Al tempo stesso, proprio i russi brandivano la minaccia della distruzione della diga come deterrente per qualsiasi contrattacco ucraino. Pure nell’ex Jugoslavia uno dei momenti salienti della guerra fu la minaccia di far saltare una diga a monte di Sarajevo.
I RISCHI
Da un lato, i milioni di metri cubi d’acqua sono un’arma micidiale in un conflitto che ha come target i civili, i villaggi, i contadini, le campagne, appesi alla speranza che il livello dell’alluvione non si alzi troppo. Dall’altro, la distruzione dell’opera segna il punto di congiunzione tra barbarie umana e catastrofe «naturale». Non sembra esserci un pericolo immediato per la centrale di Zaporizhzhia, le vasche di raffreddamento sono piene. Ma la situazione può rapidamente cambiare se le riserve della diga diminuiscono significativamente. Per non parlare del disastro ecologico. La sala delle turbine è già sommersa da 150 tonnellate di lubrificanti industriali.
Olena Kravchenko, direttrice di una Ong esperta di diritto ambientale, parla di «ecocidio», e paventa effetti senza precedenti in tutta l’area a Sud fino all’estuario del Dnipro, e sull’ecosistema costiero del Mar Nero, con una prevedibile mortalità di massa di pesci, molluschi e altre specie acquatiche, devastazione dell’ambiente e impatti negativi sui parchi nazionali della regione. Potrebbe pure innescarsi un effetto domino di minacce crescenti in mano ai russi. La diga potrebbe essere soltanto un primo passo per innescare un processo a catena e provocare incidenti nella non lontana centrale nucleare, alluvionare decine di villaggi con 20mila residenti a rischio, e produrre esondazioni che complicheranno l’avanzata dei tank di Kiev.
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