Coronavirus, Pechino punisce lo scopritore del virus: chiuso il laboratorio del professor Zhang

Domenica 1 Marzo 2020 di Michelangelo Cocco
Coronavirus, Pechino punisce lo scopritore del virus: chiuso il laboratorio del professor Zhang

PECHINO Il professor Zhang Yongzhen e la sua squadra del Centro clinico per la salute pubblica di Shanghai sono stati i primi a effettuare la mappatura del genoma del nuovo coronavirus: rivelando la sequenza di quell'organismo patogeno hanno permesso di avviare subito ai quattro angoli del pianeta la ricerca sul morbo che sta paralizzando mezzo mondo. Avrebbero meritato un riconoscimento. E, invece, si sono visti chiudere il loro laboratorio, per rettifica, espressione burocratica che indica un generico intervento punitivo delle autorità cinesi.
Con ogni probabilità la colpa dello scienziato e dei suoi colleghi è quella di aver pubblicato, l'11 gennaio scorso, i risultati dei suoi studi sul Covid-19 senza il consenso della politica.

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Anche se a fin di bene, perché i ricercatori shanghaiesi speravano di accelerare in tal modo la ricerca di strumenti diagnostici e di un vaccino. Il 5 gennaio due giorni prima che le autorità annunciassero la comparsa nella metropoli di Wuhan di una misteriosa malattia - il laboratorio di Zhang aveva messo a punto la sequenza del genoma del nuovo coronavirus. Quello stesso 5 gennaio aveva inoltrato i risultati alla Commissione nazionale di sanità, raccomandando inoltre di adottare per i luoghi pubblici «importanti misure di controllo e prevenzione», dal momento che i pazienti esaminati avevano evidenziato sintomi gravi, causati da un virus che assomigliava ad altri precedentemente riscontrati tra i pipistrelli.
 



Dunque dal professor Zhang era stato lanciato un allarme più autorevole e circostanziato di quello che, una settimana prima, aveva fatto suonare attraverso WeChat (il Whatsapp cinese) il dottor Li Wenliang, il quale, osservando nel suo ospedale di Wuhan un gruppo di pazienti in quarantena e i loro sintomi che gli ricordavano quelli della Sars, con un messaggio di testo via smartphone aveva messo in guardia i suoi colleghi dal possibile scoppio di un'epidemia. Il povero Li - in seguito morto dopo aver contratto il Covid-19 - era stato censurato e convocato in commissariato per aver «diffuso dicerie turbando l'ordine pubblico». Il caso di Zhang (come in quello di Li) ha messo a nudo alcune storture dell'autoritarismo cinese.

Un sistema capace di mobilitare e controllare efficacemente la popolazione permettendo di superare prove durissime. Ma anche un sistema in cui burocrazia è capace di reprimere l'abnegazione professionale che dovrebbe invece incoraggiare. E così l'11 gennaio, dopo che le autorità non avevano ancora preso l'iniziativa per avvertire la cittadinanza del morbo e delle misure da prendere per contenerne la diffusione, Zhang aveva diffuso i dati della ricerca del suo team su una serie di piattaforme scientifiche pubbliche (come virological.com e Gen Bank) una mossa che aveva permesso alle aziende cinesi di sviluppare i primi kit per la diagnosi del coronavirus.

PICCO SUPERATO
Ma il giorno dopo arrivò la kafkiana chiusura d'autorità, come rivelato ieri da South China Morning Post. Ora che il Paese sembra aver superato il picco dei contagi, il professor Zhang e i suoi vorrebbero tornare ai loro microscopi e alle loro provette. Ma, a quanto pare, ancora non riescono a ottenere il permesso. «Hanno inviato quattro richieste per riaprire il laboratorio, tutte rimaste senza risposta», riferisce il giornale di Hong Kong. E la chiusura del laboratorio di Zhang potrebbe danneggiare la ricerca sul Covid-19. Secondo un ricercatore intervistato dal giornale - il quale ha ovviamente ottenuto di restare anonimo - «la chiusura ha avuto un grande impatto sugli scienziati e le loro ricerche proprio nel momento in cui dovrebbe esserci una corsa contro il tempo per trovare dei rimedi contro il virus».

La Cina sta comunque provando, lentamente, a tornare alla normalità. Gli ultimi dati disponibili (dell'altro ieri) hanno registrato al di fuori dello Hubei soltanto quattro nuovi contagiati. Nella provincia del centro del Paese focolaio del nuovo coronavirus, che resta isolata dal resto del paese e del mondo, ieri sono state contagiate 423 opersone (contro le 318 di venerdì), a dimostrazione che lì l'emergenza non è ancora cessata. I morti registrati venerdì sono 47, che portano il totale a 2.835.
 

Ultimo aggiornamento: 15:28 © RIPRODUZIONE RISERVATA