Boris Johnson, la sfiducia non passa: resta premier: «Ora pensiamo al Paese»

La spaccatura in seno al partito Conservatore lo indebolisce e potrebbe non bastare a blindarlo nel prossimo futuro

Lunedì 6 Giugno 2022 di Chiara Bruschi
Fiducia Boris Johnson, cosa rischia il primo ministro? Gli scenari sul voto a Westminster

Boris Johnson ce l’ha fatta. Almeno per i prossimi 12 mesi, come precisa il regolamento del partito dei Tory che può tuttavia essere cambiato, la sua leadership non può più essere messa in discussione. La giornata più nera per il primo ministro britannico si è conclusa poco dopo le 21 orario di Londra, quando dal conteggio del voto di fiducia nei suoi confronti è emerso che 211 su 359 dei parlamentari conservatori intendono continuare a supportarlo.

Una vittoria risicata visto che 148 hanno votato contro.

La sfiducia non passa

La débâcle di ieri era nell’aria da tempo, ovvero da quando lo scandalo del Partygate scoppiato lo scorso dicembre lo ha trasformato, agli occhi di elettori e parlamentari, dal prodigio dei Tory che ha garantito al partito una vittoria storica alle elezioni del 2019 al primo ministro «bugiardo», reo di aver dimostrato «un grave fallimento nella leadership» durante il lockdown. Un insieme di avvenimenti, culminati con la multa da lui stesso ricevuta per aver partecipato alla sua festa di compleanno a Downing Street e con la pubblicazione da parte di Sue Grey del rapporto sulla condotta dello staff impiegato al Numero 10 durante la pandemia: feste fino a notte fonda, alcol a fiumi, distanziamento sociale mai rispettato.


Impossibile, dicono i detrattori di BoJo, che lui non sapesse cosa stava accadendo, imperdonabile che sia intervenuto per interrompere i regolamenti da lui stesso imposti al resto del Paese. «Sono contento che questo voto avvenga, finalmente – aveva detto Johnson ieri pomeriggio ai membri del suo partito per convincerli ad appoggiarlo - perché questa sera abbiamo l’opportunità di mettere fine all’attenzione dei media sulla leadership del partito conservatore e se mi darete il vostro supporto potremo smettere di parlare di noi stessi e iniziare a concentrarci esclusivamente su quello che dobbiamo fare per il Paese». 

 

ORGOGLIO TORY
Nel suo discorso ha fatto leva sulla «più grande vittoria elettorale» dei Tory degli ultimi 40 anni raggiunta, aveva detto, «con la mia leadership». Ha poi sottolineato i risultati ottenuti dal suo governo: dall’attuazione della Brexit («Credete che qualcun altro sarebbe stato in grado di farlo?») – tralasciando il caos causato dal protocollo dell’Irlanda del Nord che lui stesso ha firmato e che ora sta cercando di modificare -, al successo del piano vaccini anti-Covid e «la decisione di essere il primo paese europeo a inviare armi all’Ucraina». E poi ha citato le decisioni difficili prese durante la pandemia per rilanciare l’economia che ha avuto «la crescita più rapida del G7 lo scorso anno». E nel celebrare se stesso ha dovuto anche fare promesse ai conservatori più intransigenti, tra cui quella di abbassare le tasse e aumentare la produttività con «infrastrutture, competenze e tecnologia in modo equilibrato in tutto il paese». Le ripercussioni

 

PUNTO CRUCIALE
Un tema, quello del “levelling up” ovvero equiparare le possibilità offerte dalle periferie a quelle delle città più ricche del Paese, che è cruciale nel suo programma. Argomentazioni rese ancora più forti dal rischio che la faida interna al suo partito possa consegnare il Paese in mano ai laburisti alle prossime elezioni. La notizia che si sarebbe tenuto un voto di fiducia alle 18 era stata annunciata da sir Graham Brady nella mattina di ieri, quando il presidente del 1922 Committee (il gruppo parlamentare del partito conservatore alla Camera dei Comuni) aveva precisato di aver ricevuto più di 54 lettere di “no confidence” (sfiducia). Una notizia che è stata volutamente posticipata per non rovinare il Giubileo di Platino della regina Elisabetta, conclusosi domenica sera. Quella di Johnson è una vittoria che tuttavia rimane precaria: Theresa May, la PM che l’ha preceduto, nella stessa votazione aveva ottenuto un appoggio più alto (il 63%) ma sette mesi dopo si era dovuta dimettere perché il suo partito non aveva appoggiato, in tre voti consecutivi, l’accordo che voleva siglare con l’UE per attuare la Brexit. 


FAIDA INTERNA
L’atmosfera nei Tory, pertanto, è tutt’altro che serena. Nella faida interna, diversi parlamentari “ribelli” ieri avevano fatto sentire la propria voce prima del voto: John Lamont si era dimesso dal ruolo di segretario della ministra degli Esteri Liz Truss per votare la sfiducia a Johnson; anche l’ex segretario di stato per la Scozia David Mundell aveva dichiarato che avrebbe votato contro «dopo aver ascoltato» i propri elettori, perché è a loro che dovrà rendere conto. E per evitare «che le polemiche del Partygate continuino a oscurare il lavoro del governo», aveva detto, «serve un cambiamento nella leadership». E anche l’ex ministro della Salute dello stesso Johnson, Jeremy Hunt, aveva twittato che avrebbe «votato per cambiare». Archiviato il malcontento del Partygate, Johnson dovrà quindi concentrarsi sulla promessa fatta ai colleghi di partito in chiusura del suo intervento: «Qualsiasi cosa diranno su di me, vi guiderò ancora verso la vittoria». 

Ultimo aggiornamento: 7 Giugno, 12:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA