Afghanistan, Margelletti: «Rischiamo un altro Bataclan, il mondo tornerà come 20 anni fa»

Sabato 14 Agosto 2021 di Cristiana Mangani
Afghanistan, Margelletti: «Rischiamo un altro Bataclan, il mondo tornerà come 20 anni fa»

Venti anni di guerra bruciati in una settimana. «Ma non c'è da meravigliarsi - spiega Andrea Margelletti, presidente del CeSI (Centro studi internazionali) - Abbiamo perso il senso del perché stavamo in Afghanistan, e a questo punto l'uscita era obbligatoria».

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Quali sono le ragioni per cui l'America ha deciso di mollare?
«Non è andata via solo l'America, ma tutto l'occidente. E una volta che loro hanno deciso di lasciare, sarebbe stato impossibile, sia politicamente che militarmente, rimanere da soli. Per onestà, devo dire che il ministro della Difesa Lorenzo Guerini si è battuto affinché non ci fosse un ritiro generale, ma davanti alla grande fuga americana c'era ormai poco da fare».
Eppure sono stati anni di lacrime e sangue, con morti e feriti.
«È successo che nella confusione della politica occidentale abbiamo perso il filo di ciò che dovevamo fare e la ragione per la quale stavamo lì.

Questo vuol dire, non soltanto la perdita di credibilità americana, ma anche di tutto l'Occidente. Vuol dire migliaia di morti, decine di feriti, un senso di totale inutilità e tanti soldi spesi. E soprattutto il ritorno allo status quo, cioè torneranno a fare le basi per i terroristi, e tra qualche anno avremo altri Bataclan in Europa, a casa nostra, in America, la disintegrazione dei diritti delle donne, degli omosessuali, dei bambini, la fine dell'istruzione. Questo sono i talebani, non c'è da meravigliarsi».

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Chi trarrà vantaggio dall'operazione?
«I talebani e i cinesi che, alla fine, gli daranno una mano politicamente per far sì che interrompano i rapporti con gli uiguri (minoranza di religione musulmana e di etnia turcofona che risiede principalmente nella regione dello Xinjiang)».
Anni di guerra nel paese non sembrano averli indeboliti.
«Assolutamente. Basti pensare a quello che ha detto mullah Omar rispetto al rapporto tra i talebani e l'occidente: Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo. Hanno aspettato che facessimo tutti gli errori possibili, che decidessimo di andare via, e sono tornati.


Quali errori sono stati commessi?
«Non ce n'è uno principale, c'è una ridda infinita: su che cosa volevamo fare, su quale era la strategia, su come trasformare il mondo afghano. Una marea di errori, soprattutto quello di non comprendere una cultura diversa».

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Chi li sta aiutando?
«Nessuno, direi. I talebani hanno vinto perché hanno una strategia, sono determinati e sanno la ragione per la quale combattono. Stanno combattendo con i kalashnikov, non è che hanno le armi laser. Hanno un senso di invincibilità totale, perché hanno dimostrato che, dopo i russi, hanno sconfitto anche l'occidente».
Quali saranno i rischi maggiori da questa avanzata?
«Avrà ripercussioni drammatiche su di noi: qualsiasi organizzazione terroristica e religiosa avrà adesso la possibilità di stare ad addestrarsi e a formarsi in un paese, senza alcun rischio di conseguenze, perché chi li ospita è il padrone di casa. Sarà tutto esattamente come vent'anni fa».

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Oltre alla minaccia terroristica c'è il rischio concreto di una grande fuga di cittadini dal paese.
«Immagino che i profughi saranno migliaia. Del resto li abbiamo abbandonati, ora, perlomeno, accogliamoli».
Gli Usa hanno ribadito di voler comunque «mantenere forti relazioni diplomatiche e di sicurezza con il governo afghano».

Cosa rischiano i diplomatici stranieri?
«Stiamo mandando i soldati per il ripiegamento. Ma i talebani perché dovrebbero distruggere le ambasciate? Hanno vinto loro, abbiamo perso noi. È più di un Vietnam, ma non solo per gli americani, per tutti. In questi anni nessuno sembrava interessato alle sorti di quel paese, ora leggo commenti sui rischi per la società civile, per le donne, per i bambini. Ma dove erano prima tutte queste persone? La verità è che hanno vinto loro perché sono più seri. È finita, tra una settimana saranno a Kabul e ne pagheremo le conseguenze».
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