Il passeggero greco che ha perso il volo: ​«Salvo per due minuti di ritardo»

Martedì 12 Marzo 2019 di Mauro Evangelisti
Il passeggero greco che ha perso il volo: «Salvo per due minuti di ritardo»

Trenta minuti per prendere un aereo, una connessione breve, in cui non ti devi distrarre. Ha corso, in un aeroporto come quello di Addis Abeba in cui non era mai stato; ha chiesto informazioni, ma nessuno gli ha saputo dire qual era il gate giusto; ha trascinato con sé il bagaglio a mano, fino a quando è arrivato al banco giusto, ha visto gli altri passeggeri che stavano salendo. Ma il gate era chiuso, gli assistenti di Ethiopian Airlines non c’erano più, ha chiesto aiuto a quelli del gate vicino, ma gli hanno spiegato che non si poteva fare nulla. L’aereo era ancora lì, ma il gate era chiuso. Era il volo Et 302. Sei minuti dopo il decollo l’aereo è precipitato uccidendo gli otto dell’equipaggio e i 149 passeggeri. Antonis Mavropoulos, 53 anni, greco, una figlia, sposato con una donna di origine italiana, era il 150esimo passeggero, quello che non è riuscito a imbarcarsi per due minuti di ritardo. Su Facebook ha pubblicato anche la foto del biglietto del volo.

Ora cosa sta pensando?
«La nostra vita è appesa a fili sottilissimi, quasi invisibili, che creano una rete casuale intorno a noi, anche se non ce ne rendiamo conto. Se uno o due di questi fili si rompono, potremmo rischiare di morire. Quindi, bisogna apprezzare e rispettare fortuna e casualità».




Riandiamo indietro con il nastro: dopo che ha perso l’aereo poi precipitato, nel terminal di Addis Abeba il wi-fi ha smesso di funzionare. Lei come ha saputo dell’incidente? E come ha reagito?
«Quelli di Ethiopian Airlines, molto gentili, mi hanno chiesto di sedermi in una stanza, di aspettare, ma non mi hanno detto nulla. Ho scambiato sms con degli amici e sono stati loro a dirmi ciò che era successo. Il primo istinto è stato chiamare mia moglie e i miei genitori. Non volevo che si preoccupassero per la notizia dell’aereo caduto, che pensassero che fossi a bordo. Poi, dopo le telefonate, ho avuto a lungo delle turbolenze di sensazioni dentro di me, che proseguono tutt’ora. Da una parte c’era la profonda tristezza per quanto successo, sull’aereo c’erano persone che conoscevo. Dall’altra c’era la paura, sì la paura, per ciò che poteva succedermi».

Ricostruiamo gli eventi. Antonis, nel suo profilo Facebook (dove compare con una foto scattata in piazza Navona) a caldo ha ricostruito tutto anche per rassicurare chi lo conosce; è il presidente di una importante organizzazione che si occupa di rifiuti, Iswa (International Solid Waste association). Tra qualche settimana sarà a Roma per un convegno sull’ambiente, ma domenica era diretto, come altri che si occupano di queste tematiche, a Nairobi, per l’assemblea delle Nazioni Unite per l’Ambiente.
«Arrivavo da Beirut, destinazione finale Nairobi, con scalo ad Addis Abeba. Sapevo che la mia connessione era molto breve, appena trenta minuti, per questo viaggiavo solo con bagaglio a mano. Lo avessi imbarcato, probabilmente l’aereo per il Kenya, l’Et 302, mi avrebbe atteso e ora non sarei qui a parlare al telefono con lei. Comunque, al mio sbarco ad Addis Abeba doveva esserci un operatore della compagnia aerea per non perdere la connessione, il volo per Nairobi».

Poi cosa è successo?
«C’è stato un imprevisto, quello della compagnia aerea è arrivato in ritardo, io ho cominciato a cercare da solo il gate. Il terminal non è molto grande, però ho prima dovuto superare i controlli di sicurezza, dopo nessuno sapeva dirmi quale fosse il gate giusto. Mi sono innervosito, alla fine l’ho capito, il numero, mi pare iniziasse con l’8, ho cominciato a correre e pensavo di avercela fatta perché vedevo ancora i passeggeri che stavano salendo sull’aereo. Ma quando sono arrivato il gate era chiuso. Ho urlato, mi sono arrabbiato, ma è stato inutile».

Qual è stata la sua reazione? Ancora non sapeva che quello che sembrava un fastidioso imprevisto le aveva salvato la vita.
«Sono andato al banco di Ethiopian Airlines, ovviamente ancora non era successo nulla. Il personale della compagnia è stato molto gentile e mi ha trovato un posto in un volo successivo, tre ore dopo. Mi sono calmato: alla fine, ho pensato, era un’attesa accettabile. Il tempo è passato, mi sono messo in fila per l’imbarco del nuovo volo, ma non sapevo nulla della tragedia perché il wifi nel terminal era stato disattivato. Mi ha però avvicinato un operatore di Ethiopian e mi ha chiesto di seguirlo, perché il manager voleva parlarmi. Erano molto gentili, ma mi hanno chiesto di restare dentro una stanza, mi sono anche un po’ spaventato. Mi hanno detto, con gentilezza, di non arrabbiarmi, perché ero l’unico passeggero a non essersi imbarcato, l’unico che si era salvato. Mi hanno fatto alcune domande, come era giusto. Poi, sono ripartito, con un volo successivo. Ora sono a Nairobi, ma dentro di me quella turbolenza di sensazioni non è terminata».
 

Ultimo aggiornamento: 13 Marzo, 13:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA