Carlotta Sami, portavoce Onu per i rifugiati: «L'Europa ha dimostrato che sa aprire le sue porte»

Mercoledì 27 Aprile 2022 di Maria Lombardi
Carlotta Sami, portavoce Onu per i rifugiati: «L'Europa ha dimostrato che sa aprire le sue porte»

«Più la guerra si protrarrà, più sarà difficile per le persone tornare nelle proprie case e ricostruire il proprio Paese».

L’Ucraina s’allontana, ogni giorno in più di bombe. Per chi è fuggito, oltre 5 milioni di persone, s’allunga la via del ritorno, ogni settimana in più di guerra. Carlotta Sami, 51 anni, milanese, dal 2014 è portavoce per il Sud Europa dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR).

Prima era stata direttrice generale di Amnesty International in Italia, e aveva lavorato per Save the Children. Di crisi ne ha viste tante, tantissime. Questa è diversa, dice.

In che cosa è diversa?

«È una crisi che sta crescendo molto velocemente, si tratta dell’esodo più veloce in Europa dalla seconda guerra mondiale. E ha una caratteristica particolare: degli oltre 5 milioni usciti dal Paese, più del 90 per cento sono donne e bambini».

Donne che rischiano violenze, durante la fuga e dopo, e bambini che potrebbe essere costretti a separazioni. Cosa si sta facendo per proteggerli?

«Abusi, violenze, tratta degli esseri umani: sono rischi che accompagnano ogni crisi di questo genere. Stiamo allertando tutte le persone in fuga che arrivano nei paesi di frontiera e anche in Italia, raccomandiamo loro di fare molta attenzione a chi offre passaggi o alloggi gratuiti. Portiamo avanti una campagna di informazione ad ampio raggio, chiediamo agli stati confinanti di assicurare subito pasti per i bambini e le famiglie che varcano la Frontiera. Con l’Unicef abbiamo allestito Blue Dot, punti di informazione e di assistenza per i minori e famiglie ai confini, da qualche giorno anche ai valichi di frontiera di Fernetti e Tarvisio, in Friuli-Venezia Giulia. Siamo presenti in Ucraina, da molti anni, e in tutti i Paesi vicini».

Di quali aiuti c’è più bisogno?

«Queste persone hanno bisogno di tutto, a cominciare da acqua e cibo. Abbiamo anche un programma di distribuzione di aiuti in denaro, estremamente efficace: riduce i costi, dà la possibilità di acquistare quello di cui le persone hanno bisogno e di mantenere un minimo di economia nel Paese».

Cosa sta insegnando questa crisi all’Europa?

«Ha dimostrato che l’Europa, anche di fronte a una crisi con un impatto enorme, può fare bene e affrontarla senza tensioni e senza erigere muri, mantenendo confini aperti per chi ha bisogno di chiedere asilo. È un esempio che ci dimostra, rispetto a quanto accaduto in passato, che quando c’è la volontà la reazione può essere immediata e puntuale. Speriamo che questa crisi faccia germogliare una politica dell’asilo a livello europeo più condivisa per quanto riguarda le responsabilità e anche più pragmatica ed efficace».

Ma la risposta positiva nell’immediato va trasformata in un sostegno a lungo termine. Come fare?

«Bisogna immediatamente mobilitarsi, nei paesi di accoglienza, per favorire l’integrazione di coloro che vorranno restare. E in questo c’è bisogno del coinvolgimento di tutti gli attori della società, dai governi agli enti locali, dalle aziende alle scuole. Parliamo di milioni di persone che avranno bisogno di un luogo da poter chiamare casa, di lavorare, di accedere alle scuole di ogni ordine e grado. La solidarietà del settore privato, a livello globale, è stata straordinaria e questo ci fa sperare nella possibilità di pianificare gli aiuti a medio e lungo termine».

Oltre l’Ucraina, ci sono altre crisi aperte. Cosa sta succedendo altrove?

«Non dobbiamo dimenticare le crisi in Afganistan, Etiopia, nell’America Centrale e Latina, in Asia. Ci auguriamo che lo stesso slancio e la stessa empatia che si sta dimostrando negli aiuti all’Ucraina possano essere riservati allo Yemen, ad esempio, e negli altri paesi lacerati da conflitti».

Sappiamo che non è così.

«Siamo ancora in questa situazione: l’86% di chi fugge è accolto principalmente da Paesi poveri. Pensiamo al Niger, quarto Paese più povero al mondo che accoglie migliaia di sfollati e rifugiati che arrivano dai paesi vicini, con grande generosità. Dobbiamo tener presente che la crisi dei rifugiati è globale, continua a crescere da dieci anni a questa parte: i conflitti aumentano e non si risolvono. Se nel passato le persone riuscivano a rientrare nei loro paesi perché la violenza si stabilizzava, adesso questo non sta più accadendo».

Rischia di succedere anche in Ucraina?

«Il nostro obiettivo è dare un supporto alla popolazione. Ma la cosa più urgente è che si arrivi prima possibile a una situazione di pace. Più dura la guerra, più sarà difficile per i profughi tornare nel loro Paese».

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Ultimo aggiornamento: 28 Aprile, 08:17 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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