Dicono che la bellezza sia una promessa di felicità. Giorgio Armani con Emporio ha fatto felici generazioni di giovani.
Emporio da quale necessità arriva e come l'ha tradotta in moda?
«I primi Anni Ottanta erano un momento di fermento, spensieratezza, voglia di fare. I giovani guadagnavano la scena e una loro indipendenza, ma per l'abbigliamento l'offerta era scarsa. O meglio, non c'era nulla che seguisse il culto nascente della griffe. Il vuoto di mercato era evidente, e ho pensato di inserirmi con una proposta che fosse più accessibile. La risposta è stata immediata, travolgente, e l'aquilotto divenne presto un simbolo in cui riconoscersi, aggregarsi. Ho anticipato i tempi nel vedere il marchio come un concentrato di valori, non solo di vestiti».
Uno stilista alto firma una linea pop. Come reagì il mondo della moda?
«Con grande scetticismo. Mi fu detto che il posizionamento del marchio avrebbe cannibalizzato il resto, che il nome era troppo democratico. Io ho proseguito sulla mia strada e credo di aver anticipato l'idea della diversificazione che, come piano di business, è più in sintonia con la frammentazione culturale e sociale di oggi, e che allora iniziava a delinearsi».
Emporio è ancora solo per i giovani?
«I giovani erano diversi perché tutto era diverso. Avevano un grande bisogno di affermazione e identificazione, anche attraverso quello che indossavano. Oggi Emporio come brand contenitore, si rivolge a un pubblico più ampio e trasversale, anche per età. Lo spirito è libero, metropolitano, dinamico».
Lei ha detto che il logo dell'aquila Emporio è uscito dalla sua penna per caso...
«Lo disegnai un giorno, mentre ero al telefono, perché il mio socio Sergio Galeotti che aveva l'urgenza di definire un logo. Buttai giù lo schizzo e quel simbolo lanciò il mio nome nell'Olimpo dei giovani».
Guardando ai 40 anni di Emporio, ha rimpianti?
«Preferisco guardare avanti. Chissà se non avessimo interrotto la pubblicazione del Magazine: era, ed è, un prodotto editoriale estremamente originale, antesignano dei brand produttori di contenuti».
Emporio ha vestito il cinema, i cantanti, gli attori. L'arte e la moda che dialogo hanno?
«Sono discipline della contemporaneità, capaci di esprimere tutta la complessità del tempo presente».
Lo sport ed Emporio. Soddisfatto delle medaglie che brillavano sulle divise Armani?
«Più che soddisfatto. Sono orgoglioso per le molte vittorie di tutti gli atleti olimpici e paralimpici, per il titolo di campioni d'Europa con il calcio, orgoglioso di un momento di grande gioia per il nostro Paese».
Torna Emporio Armani Magazine. Ovvero la carta in epoca digital.
«La mia giornata comincia con la lettura dei quotidiani. Mi aiutano a chiarire i dubbi, a non perdermi nella velocità. Credo siano indispensabili e complementari alle nuove forme di informazione. Sulla carta poi le immagini rimangono».
I murales a Brera e il logo a Linate sono diventati la cifra di Emporio a Milano. Lo scambio tra Armani e la città prosegue?
«Lo scambio tra Armani e la città è continuo: un vero dialogo. Quei luoghi fanno parte oramai dell'immaginario collettivo».
Cosa trasmette dell'Italia il marchio Emporio al mondo?
«Il dinamismo, l'equilibrio, il gusto, la varietà, la concretezza della creatività italiana. Il senso dello stile anche nelle cose più piccole».
Sul comodino di Armani cosa c'è? Telefonino? Libri? Ipad?
«Il libro che leggo in quel momento. Nulla di più: ho imparato negli anni a dividere la vita dal lavoro».
Dove va Emporio?
«Diritto verso il futuro, sempre con la consapevolezza di quel che è stato».