Yvette: «Io vittima di violenza e razzismo, trattata come una prostituta perché nera: ora aiuto le straniere in Italia»

Lunedì 6 Gennaio 2020 di Maria Lombardi
Yvette: «Io vittima di violenza e razzismo, trattata come una prostituta perché sono nera»

«Perché ti amo». Yvette Samnick da quando è piccola sente ripetere questa frase. Le violenze in nome dell’amore. Perché ti amo, ti picchio, ti offendo, ti umilio. Perché ti amo, ti rendo schiava e ti tolgo ogni libertà. Il padre, un politico importante in Camerun, aveva 5 mogli, «e non c’è stato giorno che non abbia alzato le mani contro mia madre. Una volta l’ha picchiata così tanto che l'ha fatta abortire». Il compagno di Yvette in Italia diceva di amarla, «e mi chiamava negra di merda, mi picchiava». Le botte, la prigionia in casa, le minacce. Finché Yvette, 34 anni camerunense, due lauree nel suo paese e una in Italia, mediatrice culturale presso il centro antiviolenza Roberta Lanzino di Cosenza, non ha denunciato il padre di suo figlio.

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«Perché ti amo», è il titolo del libro di Yvette pubblicato qualche mese fa (Luigi Pellegrini editore), il racconto di tutte le violenze che ho subito in nome dell’amore. «Mi sentivo prigioniera e impotente, avevo tanta rabbia. Scrivere è stata una forma di terapia». Yvette e la madre, un’assistente sociale, hanno fondato in Camerun un’associazione per le vittime di violenza, (Aclvf) . «Voglio aiutare le donne nel mio paese, lì lo Stato è assassino, complice.

Le donne finiscono in ospedale con i lividi e le ossa rotte e nessuno chiede perché. Con i soldi raccolti grazie al libro vorrei aprire centri antiviolenza nel mio paese. Ma voglio aiutare anche le straniere che vivono in Italia, le donne senza documenti che subiscono violenza e non hanno la forza di reagire. Penso al disagio che vivono ogni giorno molte di loro, ci hanno insegnato ad avere paura delle forze dell’ordine. Non si può chiedere a questa ragazze: vai a denunciare». Yvette ha preso parte al progetto Leaving violence, living safe, della rete Di.Re., per donne migranti richiedenti asilo e rifugiate. «Nei centri centri antiviolenza serve una metodologia di accoglienza diversa per le migranti, la loro cultura è differente e non si può usare lo stesso approccio che si ha con le donne europee».





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Yvette nel 2014 arriva in Italia con una borsa di studio all’università di Cosenza. Lasciandosi alle spalle le violenze del padre poligamo e tiranno. Conosce un ragazzo italiano, s’innamora, resta incinta e si trasferisce a casa della famiglia di lui. Comincia un nuovo inferno. I controlli della suocera, gli insulti del compagno, le botte. L’unica libertà che ha è la messa della domenica. Un giorno lui le sbatte la testa contro l’armadio e le punta un coltello. «Mi provocava: vai a denunciarmi. Tanto sapeva che non l’avrei fatto». Finché nel settembre del 2017 Yvette, dopo l’ennesima aggressione, denuncia il compagno. Per due anni vive in una casa famiglia e adesso abita da sola con il suo bambino i 3 anni, a Cosenza. L’ex compagno è sotto processo per odio razziale, violenza assistita e maltrattamenti in famiglia.

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«In Italia ho subito e subisco una doppia discriminazione, come donna e come straniera. Ogni santo giorno mi sento offesa, quando esco da casa si fermano tante macchine e mi fanno proposte perché pensano che sia una prostituta. Sono una donna nera e dunque prostituta o badante. Voglio essere chiamata nera, sto facendo una battaglia per questo. Che vuol dire donna di colore? Di che colore sarei? Sono una donna nera che ha studiato e pensa, ma in Italia questo non è concepibile. Vengo trattata come una prostituta, come una donna delle pulizie o come una badante non solo dagli uomini ma anche dalle donne. Perché questa è l’immagine della donna nera. Io ho gli strumenti per reagire, tante altre non li hanno. Mi continuerò a battere per tutte le donne straniere che vivono in questo paese e sono più esposte alla violenza».

Ultimo aggiornamento: 13:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA