Nunzia Ciardi, Polizia postale: «Revenge porn, stupri virtuali e minacce: in rete donne sotto attacco»

Sabato 18 Luglio 2020 di Maria Lombardi
Nunzia Ciardi, direttore della Polizia postale: «Violenza in rete, donne sotto attacco»

L'ingiustizia della rete. «Una straordinaria ingiustizia. Le donne rischiano di più, sono minacciate, insultate e aggredite proprio in quanto donne». La violenza della rete. «Le donne sono più esposte agli odiatori quando esprimono un'opinione». La banalità della rete. «Le donne vengono prese di mira per il loro aspetto fisico, per l'abbigliamento e per il loro modo d'essere». Nunzia Ciardi, direttore della Polizia Postale dal gennaio 2017, combatte contro tutto il male del web. E insegue, nell'oscurità dell'on-line, quei killer che usano le tastiere come armi.

Quanto è difficile catturare chi insulta, minaccia o invita allo stupro? Come vanno a finire questo genere di indagini?
«Non è sempre facile individuarli, la rete offre tante pieghe nelle quali nascondersi. Ma quando li scopriamo vengono ovviamente denunciati e puniti. La difficoltà è che in genere gli odiatori agiscono come branco, non troviamo un insulto ma un mosaico di ingiurie e questo spesso ci impedisce di intervenire efficacemente. Non è semplice perseguire le diffamazioni sui social, per le norme americane non sono reati. Più facile agire di fronte a minacce. Alcune donne hanno preferito chiudere gli account quando si sono trovare in mezzo a tempeste di odio».

Ci sono differenze tra i vari social?
«Facebook per certi aspetti si presta di più agli attacchi violenti, ma ci imbattiamo in reati aggressivi nei confronti delle donne anche su Twitter e Instagram. Una ricerca francese ha rivelato come la tecnologia abbia aggravato molti reati contro le donne in quanto fornisce vari strumenti per perseguitarle ed esercitare un controllo pervasivo. Ci sono partner che pretendono l'accesso alle mail o installano applicazioni per la geolocalizzazione rendendo possibile un controllo incessante. La tecnologia usata male può essere un'alleata per esercitare violenza sulle donne».

Il revenge porn è reato da qualche mese. La nuova legge ha funzionato da deterrente?
«Abbiamo avuto molte denunce specifiche che prima dovevamo ascrivere ad altri reati, sicuramente la legge aiuta nelle indagini e contribuisce a far emergere i casi. Si tratta purtroppo di una piaga sempre più diffusa che colpisce quasi esclusivamente le donne. Quando lei lo lascia si rompe il patto di fiducia su cui si basava lo scambio di foto e lui per vendetta invia le immagini intime a gruppi di messaggistica, a volte le pubblica su siti pornografici allegando anche il numero di telefono della vittima. La diffusione del fenomeno è legato al fatto che tra i ragazzi ma anche tra gli adulti il sexting è stato sdoganato. Ma da parte delle vittime c'è la ritrosia a denunciare, provano vergogna. Da una ricerca effettuata con l'università La Sapienza di Roma è emerso che il revenge porn, tra i ragazzi, viene considerato una conseguenza giusta per chi non ha saputo tutelare la propria immagine. Le ragazze vivono un senso di colpevolezza che le porta a chiudersi e a non chiedere aiuto. Il silenzio però rischia di diventare il migliore alleato di chi ci aggredisce».

Quante sono le denunce rispetto al sommerso?
«Per i reati online che possiamo considerare di aggressione, ossia stalking, minacce, violenze, ingiurie ed estorsioni sessuali, le denunce da parte di donne sono circa 2mila all'anno. Si tratta della punta dell'iceberg, il sommerso non è valutabile. Facciamo continue campagne di sensibilizzazione, anche nelle scuole, e sempre hanno come risultato un'emersione di casi. Bisogna denunciare, le violenze in rete possono anticipare violenze reali».

Chat degli orrori, ragazzini che si scambiano immagini pedopornografiche. Quanto sono diffusi fenomeni così inquietanti?
«Molto diffusi e come adulti dobbiamo interrogarci. Giovani e giovanissimi si scambiano immagini di violenza pura, bestiale, come è emerso dall'ultima inchiesta, così efferate da lasciare di stucco gli investigatori. L'età è sempre più bassa: i ragazzini sono abili dal punto di vista tecnologico, sanno cercare questo genere di immagini nel dark web e non hanno alcuna consapevolezza del disvalore penale ed etico di quello che fanno».

Cosa dovrebbero fare gli adulti?
«Non credo sia più possibile tirarsi indietro, gli adulti in nome di una capacità tecnica sicuramente inferiore a quella dei ragazzi si sentono ai margini di questo mondo e rinunciano ad avere un ruolo di guida. Questo non è più possibile. Non credo che la capacità tecnica sia alla base di un insegnamento sul rispetto degli altri e su cosa si può e non si può fare. Non è possibile mettere un dispositivo in mano a un bambino di 8 anni e lasciarlo navigare da solo. Allarma anche la precocità nell'adescamento online, le vittime sono anche preadolescenti di 9, 10 12 anni. Il divieto non è la soluzione in una società completamente digitale. Bisogna stare accanto ai figli, utilizzare i parental control che inibiscono ingressi in siti particolare, dialogare».

Il lockdown ha aggravato i reati in rete?
«Difficile da dire, le denunce sono diminuite, ma le segnalazioni al nostro commissariato virtuale relative a tutti i fenomeni patologici online sono aumentate del 175 per cento».

Avete intercettato fenomeni nuovi sul fronte delle aggressioni?
«Da quando le app di messaggistica hanno messo a disposizione sticker scaricabili e modificabili, cambiandoli vengono veicolati contenuti di violenza, pedopornografia, insulti basati su etnia, sesso, religione e genere».
Ci sono sempre più gruppi che incitano agli stupri virtuali.
«Ultimamente sono stati chiusi 3 canali Telegram dove venivano condivise foto rubate dai profili o in mezzo alle strade e pubblicate al solo scopo di incitare alla violenza e allo stupro. La repressione è un tassello importante. Ma la battaglia è anche culturale, vanno combattuti gli stereotipi che vedono la donna come oggetto di una aggressività di questo tipo. Il percorso è lungo ma è l'unica strada da battere per consentire alle donne di stare in rete senza dover temere reati del genere».
 

Ultimo aggiornamento: 15:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA