Violenza in casa, il Consiglio d'Europa: «In Italia troppe denunce finiscono con proscioglimenti»

Venerdì 2 Ottobre 2020
Violenza in casa, il Consiglio d'Europa: «In Italia troppe denunce finiscono con proscioglimenti»
Trovare il coraggio di denunciare una violenza domestica significa vincere paure, ritorsioni, essere pronti ad allontanarsi dalla casa in cui si è vissuti, cambiare vita.
Ma vedersi derubricare il proprio atto di coraggio con un asettico
«non luogo a procedere», con tutto quello che ne consegue, è un'umiliazione che può avere anche brutte conseguenze per chi denuncia. Il tasso elevato di procedure per violenza domestica che in Italia termina in un «non luogo a procedere» durante le indagini preliminari «preoccupa» il comitato dei ministri del Consiglio d'Europa. É quanto si legge nella decisione dell'organo esecutivo di Strasburgo che ha esaminato, nell'ambito della cosiddetta procedura d'esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti umani, le informazioni fornite dal governo italiano per rimediare alle carenze che hanno condotto alla condanna del Paese nel 2017 nel caso Talpis. Il 25 novembre del 2013 a Remanzacco, in provincia di Udine,  Andrei Talpis - ora in prigione con una condanna all'ergastolo - marito di Elisaveta uccise il figlio diciannovenne Ion e tentò di uccidere anche la donna. La pena è stata inflitta a Talpis dal gup del Tribunale di Udine l'otto gennaio 2015. 

Le denunce

I giudici di Strasburgo stabilirono all'epoca che, nonostante le ripetute denunce della signora Talpis, le autorità non avevano preso le misure necessarie a proteggerla dalla violenza del marito e che questo aveva favorito un aumento dell'aggressività sfociato nel tentato omicidio della donna e nell'omicidio del figlio. Nella decisione resa nota oggi, il comitato dei ministri, pur esprimendo «soddisfazione per gli sforzi continui delle autorità, che dimostrano la volontà di prevenire e combattere la violenza domestica e la discriminazione di genere», chiedono al governo di attuare una serie di misure e fornire entro marzo informazioni su quanto fatto ma anche dati statistici. E a proposito di dati non si può non ricordare il record di denunce di violenza domestica sotto il lockdown arrivate al 1522, il numero di pubblica utilità per sostenere e aiutare le vittime di violenza di genere e stalking. Dal primo marzo al 16 aprile 2020, infatti, le telefonate valide al 1522 sono state 5.031, addirittura il 73% in più dello stesso periodo del 2019. Le donne vittime che hanno chiesto aiuto, inoltre, sono state il 59% in più. Dati allarmanti a cui sta cercando di dare una risposta il Codice Rosso, approvato nel 2019 che prevede, tra le altre cose, che la vittima verrà sentita dai pm entro tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato; pene da 6 a 12 anni in caso di violenza sessuale che diventano 14 se il reato è commesso su un minore; da un anno a un anno e sei mesi per il reato di stalking e dai tre ai sette anni per maltrattamenti in famiglia. Oggi Strasburgo chiede che l'Italia «crei rapidamente un sistema completo di raccolta dati sugli ordini di protezione e fornisca anche dati statistici sul numero di domande ricevute, i tempi medi di risposta delle autorità, il numero di ordini effettivamente attuati». Inoltre il governo dovrà fornire informazioni sulle misure prese, o che intende prendere, per garantire che le autorità competenti attuino una valutazione e gestione adeguata e effettiva dei rischi legati al ripetersi e aggravarsi degli atti di violenza domestica e quindi dei bisogni di protezione delle vittime.
Ultimo aggiornamento: 16 Febbraio, 08:27 © RIPRODUZIONE RISERVATA