L'Onu premia quattro donne impegnate nella difesa dei rifugiati, mai così tante tutte insieme

Mercoledì 30 Settembre 2020 di Simona Verrazzo
Rana Dajani

Quattro donne impegnate in difesa dei rifugiati, quattro donne a cui le Nazioni Unite hanno reso omaggio conferendo loro il Nansen Refugee Award, il premio che dal 1954 viene assegnato dall’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Onu (UNHCR). L’edizione di quest’anno è destinata a passare alla storia perché i quattro riconoscimenti regionali sono tutti andati ad attiviste, prima volta nella lunga storia di questo importante tributo.
Africa, Asia, Europa e MENA (North Africa and Middle East) sono le quattro aree geografiche selezionate quest’anno e che hanno visto premiate altrettante donne, in attesa di domani, 1° ottobre, dell’annuncio del vincitore al livello globale. Tutte quante, si legge nel comunicato dell’UNHCR, si sono distinte per iniziative in favore delle loro comunità, al livello locale, ma il loro impegno è da esempio a livello globale. E loro stesse hanno vissuto, nei paesi d’origine, il dramma dei rifugiati. Per l’Africa il riconoscimento è andato a Sabuni Françoise Chikunda (49 anni), insegnante congolese scappata in Uganda, fondatrice del Kabazana Women’s Centre; mentre per l’Asia è stata scelta Rozma Ghafouri (29 anni), afgana rifugiata in Iran, allenatrice di calcio, co-fondatrice di Youth Initiative Fund: le donne e i giovani sono i destinatari dei loro progetti, che puntano a fornire istruzione e avviamento al lavoro, oltre all’assistenza medica e alla tutela legale.

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Tetiana Barantsova (46 anni) è l’attivista premiata per la regione Europa: la sua iniziativa, l’associazione “AMI-Skhid”, si sviluppa nel Donbass, la regione ucraina teatro del conflitto con la Russia nel 2014, e si rivolge alle persone disabili, proprio come lei, costretta su una sedia a rotelle dopo un incidente da bambina.
Il riconoscimento è andato anche a Rana Dajani, in rappresentanza del nord Africa e del Medio Oriente: giordana di origini siriano-palestinesi, professoressa di biologia molecolare, è popolarissima nel mondo arabo anche per la sua iniziativa “We Love Reading”, per l’accesso ai libri nei campi profughi. Classe 1969, nata a Dhahran (Arabia Saudita) ma cittadina della Giordania, delle quattro Rana Dajani è sicuramente il volto più noto al livello internazionale, essendo una delle scienziate più importanti della sua regione, con ricerche svolte anche ad Harvard (USA): è una luminare nello studio della genetica delle minoranze circassa e cecena che vivono nel Regno Hashemita, mentre negli ultimi mesi è stata impegnata, con un team di colleghi, nella realizzazione di un test rapido ed economico per l’individuazione del Covid-19.
Il Nansen Refugee Award porta il nome dell’esploratore e diplomatico norvegese Fridtjof Nansen, a cui nel 1922 venne assegnato il Premio Nobel per la Pace proprio nella carica di Alto Commissario per i Rifugiati dell’Onu. Fu l’ideatore del cosiddetto Passaporto Nansen, che dopo la Prima Guerra Mondiale garantì tutela a migliaia di profughi, rifugiati e apolidi.
In attesa di conoscere il nome al livello mondo del Nansen Refugee Award, queste quattro donne vengono premiate per il loro impegno in favore dei rifugiati del nuovo millennio e chissà che una o più di loro non sia insignita del Nobel per la Pace 2020, il cui annuncio è atteso per il 9 ottobre.

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