A distanza di tre mesi dall'udienza, è stata depositata il 7 giugno la sentenza della Corte Costituzionale che motiva l'attualità della legge Merlin. Con buona pace di quei parlamentari che puntavano a depotenziarne gli effetti, tra cui il ministro dell'Interno, Matteo Salvini che proponeva un referendum abrogativo. La decisione dei giudici costituzionali ha tagliato la testa al toro («prostituirsi non è mai un atto volontario») ed è stata accolta con soddisfazione dalle sei associazioni femminili, raggruppate sotto il nome di Rete per la Parità, che si erano schierate subito in difesa del testo normativo ancora attuale e più che mai necessario.
Hanno accolto le nostre tesi». L'avvocato Antonella Anselmo che è intervenuta in giudizio a nome delle associazioni ha fatto sapere che la Consulta ha persino escluso il principio della offensività. «L'individuazione dei fatti punibili è rimessa alla discrezionalità del legislatore, nel limite della non manifesta irragionevolezza, poiché implica valutazioni tipicamente politiche e ciò tanto più rispetto alla prostituzione che come rivela l'analisi storica e comparata, si presta a diverse strategie di intervento».
Resta comunque ferma - rispetto alla disciplina vigente - l'operatività del principio di offensività, che impone al giudice di escludere il reato quando la condotta risulta per le specifiche circostanze concretamente priva di ogni attitudine lesive».
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