​La Spoon River delle donne: una vittima ogni 60 ore

Sabato 11 Maggio 2019 di Maria Lombardi
La Spoon River delle donne

Lei dormiva, lui le aveva appena scritto «Ti amo» su Facebook. Tre colpi alla nuca, con la pistola da poliziotto. Le bambine di 6 e 9 anni nell’altra stanza. «Ti ho dedicato la mia vita», e poi l’ha tolta a tutte e due. Alice Bredice, 36 anni: 29/4/2019, Marina di Ragusa.

Una coltellata al cuore, lei sul letto matrimoniale, lui accanto, stordito dagli psicofarmaci. Licia Zambon, 82 anni: 19/4/2019, Venezia.
 

 


«L’ho strozzata con tutta la forza che avevo». Lui voleva fare sesso, lei l’ha respinto, non ne poteva più di quel matrimonio. Elvira Bruno, 52 anni: 17/4/2019, Palermo.

Era incinta di due mesi. Il marito ha provato a strangolarla con un cavetto del cellulare e poi l’ha massacrata con un bastone. Romina Iannicelli, 44 anni: 15/4/2019, Cassano sullo Jonio.
 


Faticava a muoversi in questa vita che la malattia aveva reso irriconoscibile. Il marito l’ha uccisa a bastonate e poi si è impiccato. Elena Caprio, 83 anni: 12/4/2019, Zola Pedrosa (Bologna).

Lei urlava aiuto, il marito la colpiva con un coltello da cucina. Clementina Spada, 87 anni: 12/4/2019, Caltignana (Novara). Due vittime in un giorno.

Si è inginocchiata, l’ha implorato di non farlo. Lui, l’ex marito, ha sparato due colpi: uno al collo e un altro al petto, quando era già morta. Loredana Calì, 43 anni: 1/4/2019, Catenanuova (Enna).

Tante croci una accanto all’altra, tutto questo sangue in meno di un mese. Immaginate tante altre croci, ma tante tante di più. Un cimitero sterminato, solo nomi di donne. Come in guerra, ma il nemico era nello stesso letto. Una strage lenta e continua, quotidiane dosi di orrore. Dall’inizio dell’anno sono state uccise 28 donne, 120 in dodici mesi (fino al luglio 2018), 822 dal 2012 ad oggi, oltre 3.000 nel nuovo millennio. Tre a settimana, una ogni sessanta ore. Sorridono nei collage di foto che sul web raccontano di storie finite più o meno allo stesso modo: la morte spacciata per amore. Dopo di me, nessuno. C’è chi ha le prime rughe - nella Spoon River delle vittime - o lo sguardo appesantito dagli anni, chi gli occhi al futuro e le smorfie da selfie, le treccine e i fermagli, l’ansia di vivere. Una sequenza di omicidi senza fine e senza mistero. E’ stato lui: l’ex, il marito, il compagno, il fidanzatino ma anche il fratello o il figlio. 

Ecco la statistica del male, dati Eures. Il colpevole il più delle volte è il marito (65 per cento dei casi), l’ex marito (16,5) il partner (3,5). L’arma più usata è il coltello (nel 40,2 per cento dei femminicidi), poi ci sono mani e lacci per strangolare (18%), gli oggetti che possono fracassare la testa (15,5%), pistole e fucili (12,8%) o calci e pugni (9%). Accade in casa della vittima (oltre il 35 per cento) o della coppia (il 34), meno frequentemente in strada o nei parchi (15,8). Le denunce restano sempre di molto inferiori alle violenze subite(solo il 12%). In dieci anni sono state 49mila. Gelosia, possesso: per questo viene uccisa una donna su tre. E’ in quella zona grigia del rapporto in frantumi che si consumano il maggior numero dei delitti (oltre il 55 per cento). E’ nella fase dell’abbandono e delle separazioni che le donne sono più esposte. Lei vuole lasciare morire un amore finito e ricominciare da capo, lui non ci sta. «L’amo troppo», per lasciarla vivere. Qualcuna parla e chiede aiuto, qualcun’altra tace le percosse, ancora troppo grande il silenzio. 

«I numeri ci dicono di un aumento delle denunce», spiega Fabio Roia, presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano. «Il sommerso non è quantificabile, anche se si ipotizza che una donna su tre subisca violenza. Il fatto è che con la denuncia comincia un percorso molto difficile durante il quale la donna va protetta e non vittimizzata un’altra volta. Gli strumenti giuridici ci sono, abbiamo un ottimo sistema di norme, ma non vengono sfruttati bene». Donne protette più che altro sulla carta. «Le ragioni sono diverse: mancanza di specializzazione degli operatori, scarsa conoscenza degli strumenti legislativi, pregiudizi, uffici giudiziari sovraccarichi di lavoro». Le donne trovano il coraggio di parlare, a volte rischiando la vita, ma spesso non vengono credute. «E’ proprio così. Un tema molto forte, c’è un grande lavoro di preparazione da fare per abbattere questo genere di pregiudizi. Se una donna denuncia episodi di violenza bisogna crederle. Secondi i dati Eures, fino al 31 ottobre 2018, il 44 per cento delle vittime di femminicidio aveva denunciato le violenze». Il tempo è contro le donne. Denunce lasciate nei cassetti o trascurate, provvedimenti tardivi. «Ben venga il Codice Rosso», sostiene il giudice. La proposta di legge approvata alla Camera che punta a una maggiore tutela delle donne riducendo il tempo delle indagini e attraverso corsi di formazione per gli operatori coinvolti.

«Per contrastare efficacemente il fenomeno è necessaria una specializzazione negli uffici della Procura e in quelli giudicanti, come ha stabilito la risoluzione del Csm del 9 maggio 2018. Attualmente negli uffici giudiziari la situazione è a macchia di leopardo: il 62 per cento delle procure ha un pm specializzato in femminicidi e violenze mentre lo stesso vale solo per il 13 per cento dei giudici». Quanti processi finiscono con assoluzioni? «Le percentuali sono molto variabili». Caltassinetta è il caso limite: assolti il 43 per cento degli imputati. Le botte e il silenzio, anche il perdono. Perché è così difficile per tante donne spezzare una relazione malata e pericolosa? Alcune lo fanno tardi, altre non fanno in tempo. Il ciclo della violenza, per la psicologa americana Leonor Walker, le tiene prigioniere.

Le fasi sono quattro. La prima è quella della tensione: sale il conflitto. La fase successiva è l’esplosione: schiaffi, pugni e aggressioni. Terzo momento, le false scuse: perdonami, sono pentito, non lo farò più. La donna ci crede. Spesso non ha che lui. L’uomo violento tende a isolare la partner, a renderla dipendente facendola sentire una nullità. Non sai cucinare, non sai badare ai figli, non vali niente. E lei ci crede. Autostima pari a zero, lui ha distrutto quel poco che c’era. «Mi sminuiva.

A un certo punto iniziai a dubitare di me. Quell’uomo mi aveva uccisa dentro», le parole di una vittima, nel libro “C’eravamo tanto armati” di Gian Ettore Gassani, presidente degli avvocati matrimonialisti. E sono proprio le donne con una scarsa considerazione di sé le più esposte alla violenza. «In ospedale dissi che mi ero ferita cadendo dalle scale. Sei punti di sutura dietro la nuca. Lui chiese scusa, piangendo. Pensai che era stata colpa mia». La vittima arriva a sentirsi responsabile delle percosse subite. 

Dopo le false scuse, c’è la quarta e ultima fase: la riconciliazione e la luna di miele. Torna un finto sereno, per pochissimo, poi il ciclo ricomincia. Finché la donna non arriva a temere per la propria vita o per quella dei propri figli. E allora trova la forza di denunciare. O scappa. 

Dall’aprile del 2014 l’associazione “Salvamamme” ha distribuito a Roma 1337 valigie di salvataggio alle donne in fuga dalla violenza. «Se rientrano a casa, specie dopo una denuncia, sono a grave rischio», Grazia Passeri è presidente dell’associazione. «Una donna che chiede aiuto deve essere sostenuta e nascosta subito. La valigia è il segno tangibile di solidarietà». 

«Non tutto però si può risolvere nei tribunali - avverte il giudice Roia - Bisogna promuovere una comunicazione efficace, rimuovere la pubblicità sessista, puntare all’educazione». 
In famiglia, certo, ma anche a scuola dove le idee nascono e circolano. «Stop alla violenza sulle donne»: al liceo romano Giulio Cesare i ragazzi ne hanno parlato per due giorni con magistrati, psicoterapeuti, ispettori di polizia.

Tante domande agli esperti, per capire: perché le donne non denunciano? che peso hanno i social nella violenza? cosa spinge un uomo a uccidere la donna? debolezza, rabbia, paura dell’abbandono? In ogni scuola i ragazzi dovrebbero interrogarsi su cosa è amore e su cosa è il contrario, imparare la grammatica dei sentimenti. E ricordarle tutte queste croci. Ci vorrebbe un giorno della memoria anche per le donne.
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Ultimo aggiornamento: 13 Maggio, 10:54 © RIPRODUZIONE RISERVATA