«No alla violenza in casa chiamate e vi aiuteremo», la campagna antiviolenza durante il coronavirus

Sabato 28 Marzo 2020 di Franca Giansoldati
«No alla violenza in casa chiamate e vi aiuteremo», la campagna antiviolenza durante il coronavirus

Più che la paura del contagio non poter uscire di casa in questi giorni per tante donne significa essere paralizzate dalla paura delle sopraffazioni e delle botte. Il fatto è che l'isolamento causato dal coronavirus rende le violenze domestiche sempre più invisibili tra le quattro mura di casa. E purtroppo non è una emergenza secondaria quella che sta affiorando. «Accade che il rischio si è amplificato e, nello stesso tempo, silenziato. Una emergenza nella emergenza. L'isolamento per tanti nuclei familiari che vivono situazioni altamente conflittuali, giusto per usare un eufemismo, si trasforma in un incubo per tante compagne o mogli». Valeria Valente, senatrice e presidente della Commissione sul femminicidio, cita l'ultimo caso, avvenuto a Padova, di una donna uccisa a martellate dal proprio compagno durante la quarantena.
Cosa state facendo per contenere questi rischi?
«Visto che la prolungata condivisione dello spazio abitativo rischia di determinare non solo un aumento del numero di episodi violenti, ma anche un loro aggravamento, si deve fare sapere alle donne che non sono sole. Che fuori dalle loro case i centri antiviolenza continuano ad essere operativi e funzionanti, che ci sono persone pronte a aiutare e fermare l'incubo e i persecutori».
A volte però non è semplice chiedere aiuto, fare telefonate magari in abitazioni dove il partner esercita un forte controllo...
«Esiste un numero apposito, il 1522 che è attivo 24 ore su 24. Si può anche mandare un messaggio via mail. Si possono inserire WhatsApp. Se si ha la possibilità di parlare si può chiamare il 112 o il 113. E c'è una app da scaricare, è facile da usare, si devono inserire i propri dati e poi è agevole da utilizzare nelle emergenze, spiegando cosa si sta vivendo, quali pericoli si corrono. Una donna a casa in questi giorni ha meno possibilità di avere relazioni con altri soggetti, con amiche. E chi vive una relazione del genere vive un incubo vero. Non penso subito al caso efferato di Padova, prima di arrivare a quel livello c'è sempre un lungo percorso di sopraffazioni, prepotenze, violenze verbali, gesti ostili. È chiaro che in un ambiente chiuso, dove non è possibile uscire tutto può essere portato alle estreme conseguenze».
Eppure c'è stato un calo delle denunce (i reati di maltrattamenti denunciati sono passati dai 1.157 dei primi 22 giorni del marzo 2019 a 652 dello stesso periodo di quest'anno). Cosa raccontano questi numeri?
«Che da quando è iniziato l'isolamento a causa della epidemia di coronavirus per tante donne si è interrotto un percorso di consapevolezza. Significa che ci sono persone che si trovano nella impossibilità di denunciare con libertà. Sono anche diminuite le richieste al 112 per esempio, e questo è un altro dato che ci fa allarmare. È un momento in cui si interrompe anche un percorso di fiducia in se stesse. Chiuse in casa, in condizioni spesso problematiche, tante donne soffrono l'impotenza. Ma è un errore perché fuori ci sono strutture pronte a tendere la mano. In queste condizioni basta mandare una mail, un sms, una telefonata breve, magari mentre si scende a fare la spesa o si sta in fila alla farmacia. La rete di aiuto esiste eccome».
A volte è più semplice da dire che non da fare.
«Il Parlamento e il Governo devono predisporre misure e risorse economiche aggiuntive e procedure più snelle per garantire misure di protezione, sostegno e accoglienza alle donne e ai loro bambini, anche in casi di quarantena per positività accertata al virus».
La commissione ha approvato due giorni fa all'unanimità, riunendosi in deroga alle disposizioni, un documento sull'emergenza della violenza legata alla pandemia chiedendo emendamenti al Dl Cura Italia. Di che si tratta?
«Tanto per cominciare chiediamo di pubblicizzare di più e in più lingue il numero 1522 con l'attivazione di sms e chat, poi di assicurare ai centri antiviolenza, alle case rifugio, agli sportelli antitratta kit sanitari e disinfettanti, sanificazione, dotazioni tecnologiche e spazi di quarantena necessari per assistere madri e figli. In tempi brevi dobbiamo individuare ulteriori strutture per la residenza temporanea delle donne in pericolo, assicurare il coordinamento tra le forze dell'ordine e i centri antiviolenza e misure per le donne immigrate. Infine chiediamo di incentivare l'applicazione della misura dell'allontanamento urgente dalla casa famigliare dell'uomo maltrattante anche per i reati come le minacce e le lievi lesioni».
L'Istat riporta che quasi 7 milioni di italiane dai 16 ai 70 anni hanno subito almeno una volta nella vita una forma di violenza (20,2% violenza fisica, 21% violenza sessuale con casi nel 5,4% di violenze sessuali gravi, come stupro e tentato stupro). Che ne pensa?
«Non si tratta di un'emergenza, ma di un fenomeno sociale e culturale drammatico. Dobbiamo tutelare le donne che denunciano».
Quanti sono stati i femminicidi del 2019?
«133.

Troppi. Non è accettabile che una donna debba morire solo perché nata donna. Non accettabile per un Paese civile e avanzato».

Ultimo aggiornamento: 09:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA