La consigliera comunale pubblica la sua foto con un occhio nero: «Donne, denunciate»

Domenica 28 Giugno 2020
La consigliera comunale pubblica la sua foto con occhio nero e labbro sanguinante: «Donne, denunciate»

Lei dice che sono postumi di un gioco a cuscinate ma ha un occhio pesto. La consigliera, sospesa dal M5s, di Oristano Patrizia Cadau, 45 anni, ha deciso di pubblicare una sua foto, in cui è stata vittima di violenza. 

L'immagine è impressionante: la ritrae dopo un pestaggio. Sotto, i commenti sono di solidarietà. Come quelli della parlamentare M5S nuorese Maria Lapia che chiede giustizia per la consigliera. O il commento di un'amica che le scrive: «Mi addolora vedere le tue foto. Vedere che tiri fuori ancora una volta una buona dose di coraggio per mostrare gli effetti di una violenza che comunque ti porterai sempre dentro. Ti abbraccio da lontano.»



Nel post Cadau fa una riflessione sull'importanza di denunciare le violenze e nei commenti scrive: «Una non deve necessariamente essere "forte" o dover riuscire a scalare pareti scoscese. Una non deve per forza sopportare l'umiliazione, i postumi, i pregiudizi. A volte proprio non ce la si fa. Rivendico il diritto di tutte di non farcela e per questo di essere aiutate tutte, supportate. Non ci si deve trasformare per forza in supereroine e paladine (nel mio caso controvoglia) per testimoniare l'ovvio e pretendere serenità e giustizia». Il post su Facebook probabilmente è scaturito dall'impatto emotivo della storia di Gessate, dove un padre ha ucciso i propri figli e poi si è suicidato dopo aver mandato un messaggio allo moglie comunicandole che non avrebbe rivisto più i due gemelli.

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Il post comincia così: «Una donna che denuncia una violenza deve combattere per anni contro le accuse di essere una "finta vittima" e una "falsa martire". Deve difendersi dallo stigma sociale di essere sopravvissuta. Di avere osato ribellarsi al violento. Di avere prima di tutto pensato a mettere in sicurezza i suoi figli. Mentre il bastardo gioca al gatto col topo nell'evidenza collettiva, protetto dal pregiudizio che lui è comunque un poverino, e che lei abbia fatto qualcosa per meritarselo, un sacco di persone decidono di fargli da spalla. Sono quasi sempre donne che hanno un qualche tipo di risentimento nei confronti della vittima e si lasciano usare per affermare una superiorità.

Donne che diventano branco, poi naturalmente vittime, ma anche familiari conniventi del mostro per questioni economiche. Di queste donne, nel tempo, ho collezionato insulti, ma anche richieste di aiuto, minacce velate suggerite dal violento, veri e propri teatrini di sfida. Donne che, prima sedotte e coinvolte dal manipolatore, poi hanno cercato di liberarsi dalla vergogna di essere cadute tanto in basso. Una vergogna tipica di chiunque sia sporcato in buonafede da questo tipo di criminali. Associata alla vergogna, la dissociazione e il tentativo di negare le proprie colpe beatificando il violento e criminalizzando la vittima. Quasi mai in buona fede sia chiaro. Figuriamoci poi in un posto come quello in cui abito dove tutti si conoscono. Dove chiunque non può non sapere di essere in compagnia di un imputato per maltrattamenti in famiglia e altri odiosi reati, e di mettersi in posa per un selfie con così edificante compagnia. Dire la verità, sostenerla negli anni, documentarla, testimoniarla è una fatica titanica. Ma alla fine paga. Quindi siate sempre donne solidali, libere e coraggiose. Insieme si può fare tantissimo». 

Ultimo aggiornamento: 19:09 © RIPRODUZIONE RISERVATA