Bielorussia, violenze e arresti a Minsk. La leader-mamma in fuga: «Devo proteggere i miei figli»

Mercoledì 12 Agosto 2020 di Giuseppe D’Amato
Bielorussia, violenze e arresti a Minsk. La leader-mamma in fuga: «Devo proteggere i miei figli»

«Neanche una vita vale quello che sta avvenendo». Così Svetlana Tikhanovskaja ha commentato in un video i moti bielorussi e lo spargimento di sangue in atto. Il “simbolo” della protesta contro il regime di Aleksandr Lukashenko è stato costretto a lasciare il suo Paese natale e, nel giro di una manciata di ore, riparare in Lituania. Ufficialmente l’improvvisa decisione è stata presa «per il bene dei suoi bambini» ed anche perché il marito Serghej – famoso blogger anti-potere e candidato non registrato alle presidenziali di domenica scorsa - è già detenuto in carcere.

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Minacciata


Dalle prime ricostruzioni giornalistiche Svetlana Tikhanovskaja sarebbe stata pesantemente minacciata dopo che la candidata delle opposizioni aveva contestato, lunedì di persona, i risultati della consultazione elettorale alla Commissione elettorale, la stessa che ha assegnato ad Aleksandr Lukashenko l’80% dei voti e a lei quasi il 10%. Svetlana «non ha avuto scelta. Adesso è al sicuro», ha assicurato il ministro degli Esteri lituano, Linas Linkevicius dopo che, per ore, la “casalinga” 37enne era misteriosamente scomparsa. «Non potevano mettere in carcere – ha spiegato il politologo Andrej Suzdaltsev - una madre di due bambini con già il marito in galera. Una cosa del genere avrebbe fatto rivoltare non solo la Bielorussia, ma anche mezza Russia. L’hanno cacciata con il ricatto dei figli».


Tre donne


Delle tre donne che si sono unite contro Lukashenko rimane in Bielorussia la sola Marija Kolesnikova, capo dello staff del banchiere Babariko, uomo in passato rappresentante degli interessi della monopolista russa ‘Gazprom’. Veronika Tsepalo è, invece, già da domenica a Mosca, anche lei «dai figli», mentre il marito Valerij è in Polonia.
«Adesso è difficile capire come la partenza della Tikhanovskaja possa influenzare gli eventi», sostiene l’esperto bielorusso Dmitrj Bolkunets. Ma il tempo della politica sembra comunque essersi esaurito: questo è invece il momento della piazza. E purtroppo della violenza e della repressione.

Per il blocco di Internet e per l’impossibilità di molti reporter di lavorare sul campo le notizie giungono con estremo ritardo; anche i telefoni e gli smartphone funzionano male. La Bielorussia sembra piombata in un strano vuoto informativo. L’epicentro degli scontri è la capitale Minsk, ma la protesta si è allargata anche ad altre città tra cui Grodno e Brest. Dieci giorni di sciopero generale sono stati decretati lunedì e ogni sera alle 19 vi è l’appuntamento per le strade: questo il messaggio recapitato dagli anti-Lukashenko alla popolazione attraverso un canale di Telegram, l’unico mezzo di comunicazione attualmente in funzione. 
«Sono pecore mosse dall’estero», ha commentato il presidente bielorusso, che promette la mano pesante.

Tante sono le fabbriche e le istituzioni che hanno aderito allo sciopero che, stando alle opposizioni, si starebbe allargando a macchia d’olio. Secondo una testimonianza raccolta da un reporter del quotidiano moscovita ‘Mk’, le unità anti-sommossa entrano negli insediamenti industriali e negli uffici per controllare chi sciopera. Non pochi sono i lavoratori fermati e portati alle stazioni di polizia.

Stanotte, come anche domenica sera e lunedì notte, guerriglia urbana per le strade di Minsk. Il bilancio delle prime giornate di furiosi scontri è pesante: un morto e centinaia di feriti, molti dei quali non si sono potuti rivolgere agli ospedali per timore di essere arrestati. Tutto il centro della capitale è pieno di mezzi militari (sono arrivate ieri le prime autoblindo), mentre all’imbrunire in certe vie sono apparse anche le barricate. Testimonianze indipendenti dal campo parlano di vere battaglie notturne. Decine di migliaia sono gli anti-Lukashenko che si impegnano in risse furibonde con la polizia che risponde con l’uso di proiettili di gomma, di lacrimogine e speciali granate. Volano anche le bombe molotov.

Come atti di disubbidienza civile in certi momenti della giornata si formano all’improvviso ingorghi enormi di automobili che suonano i clacson e bloccano le strade. Ieri pomeriggio la linea blu della metropolitana capitolina è stata bloccata dai manifestanti. Sette stazioni centrali del metro sono state chiuse dalla polizia per limitare i movimenti della popolazione.
 

Ultimo aggiornamento: 12:59 © RIPRODUZIONE RISERVATA