Federica De Paolis: «"Le imperfette" del mio libro sono quelle donne e tutte le persone che fanno i conti con le apparenze verso nuove consapevolezze»

Venerdì 3 Luglio 2020 di Gustavo Marco Cipolla
Federica De Paolis_credits Ph. Gustavo Marco Cipolla

 
La vita è un palcoscenico teatrale dove si indossano maschere a sipario aperto per recitare. Un “non-luogo” in cui si interpretano ruoli dei quali si è registi, indossando gli abiti cuciti dall’apparenza che però lascia il passo, quando è il momento opportuno, alla consapevolezza di fare i conti con le proprie nascoste e fragili verità. La realtà, poi, costringe a spogliarsi dai vestiti della mise en scène, trasformando le ferite dell’esistenza - fatta di carriera, amori, figli, amanti e bugie - in nuove opportunità. Anna è la protagonista dell’ultimo romanzo della scrittrice romana Federica De Paolis dal titolo “Le imperfette”, presentato ieri alla libreria “Eli” di viale Somalia della Capitale insieme alla collega Camilla Baresani e con un parterre contingentato a causa delle disposizioni igienico-sanitarie dettate dal Covid-19. Ci sono le attrici Lucrezia Lante della Rovere e Francesca D’Aloja, seguite da Giuseppe Gagliardi, regista della serie televisiva di successo “1992” con Stefano Accorsi e Miriam Leone, la conduttrice Livia Azzariti e lo scrittore Edoardo Albinati. Dialoghista cinematografica, candidata a numerosi riconoscimenti, tra cui il “Premio Agave” nel 2003 e il “Gran Premio del Doppiaggio” nella categoria “Miglior adattamento 2019” per il film “Il viaggio di Yao”, De Paolis è stata anche autrice tivù del programma “Grande amore”, condotto da Carla Signoris su Rai 3 nel 2018. Già docente di scrittura creativa e sceneggiatura all’Istituto Europeo di Design (Ied), attualmente insegna in un master all’Università Gregorio VII. Il suo ultimo lavoro letterario “Le imperfette”, pubblicato da Dea Planeta Libri nella sezione narrativa italiana, con cui ha vinto quest’anno il prestigioso premio omonimo della casa editrice - scolpito dall’artista Angelo Bucarelli, che non perde l’evento, e consegnato dai rappresentanti di DeA Margot Masci e Claudio Cammarano- arriva dopo le opere “Lasciami andare” e “Via di qui” (Fazi Editore), “Ti ascolto” e “Rewind” (Bompiani), tradotti in diverse lingue. Fino a “Notturno salentino” (Premio internazionale di letteratura Città di Como), edito da Mondadori due anni fa. Nell'intervista per Il Messaggero.it Federica De Paolis parla del recente volume, dalla fine e decisa tessitura di piglio pirandelliano, che affronta il tema dell’imperfezione non solo estetica ma anche dell’anima, con cui è possibile convivere nella quotidianità imparando ad essere se stessi. Nel bene e nel male. Perché, secondo lei, «Non esistono i tradimenti, esistono gli spazi ed è tra quelli che si infilano le persone».

Partiamo dal titolo, “Le imperfette”. Perché?

«Nel libro racconto la storia di Anna, sposata con un chirurgo plastico che lavora nella clinica di suo padre, Villa Sant’Orsola. Hanno due figli piccoli, un maschietto e una femminuccia. I primi a chiamare “le imperfette” quelle donne che si recano nella clinica per un intervento estetico sono il marito e il papà della protagonista. Però nel volume si capisce che pure lei, in quanto creatura femminile, si sente imperfetta sino ad arrivare a una chiusa finale in cui non sono imperfette esclusivamente le donne, come percepiva Anna, quanto piuttosto le persone. La parola assume un colore positivo, perché ognuno ha le sue controluci e insicurezze. Non siamo tutti “perfetti” anche se sembra l’ambizione del momento. Il titolo si trasforma tra le pagine per diventare un termine generalista poiché tutti i personaggi, che sono quattro compreso Javier -l’amante di Anna- più un’altra figura misteriosa, hanno un doppio fondo. Appaiono in un modo ma sono tutt’altro».

Apparenza e realtà, nella vita si indossano delle maschere.

«Le parole fondamentali del romanzo sono apparenza e consapevolezza. Perché se da una parte si lavora sul bisogno dei protagonisti di apparire in una data maniera, quando invece nella realtà sono diversi e quasi guidati da “dei” sotterranei che li muovono di nascosto, dall’altra Anna non è all’inizio in contatto con se stessa. Sarà la valanga degli eventi che le piombano addosso nella costruzione della trama a consentirle di intraprendere un percorso in cui, partendo da una zona di pericolo, prenderà coscienza di sé».

In quello che si scrive c’è sempre qualcosa di autobiografico. Lei come vive l’imperfezione?

«Sono felice di essere imperfetta in quanto donna e come persona. Ci sono dei passaggi autobiografici nella narrazione, anche se desideravo che fosse un racconto con cui affrontare temi per i quali ho cucito un vestito su misura. Mi ha fatto piacere lavorare sul concetto di imperfezione, poiché mi sembra che oggi tutti siano ossessionati dal raggiungimento del suo opposto. Penso ai social network».

La colpa è dei social?

«Non so se sia nato prima l’uovo o la gallina, però sicuramente li stiamo usando, abusandone, ed esaltando un sentimento di rappresentazione del benessere, non economico ma estetico, in cui i leitmotiv sono l’essere bello, il sorriso a tutti i costi, lo stare bene, la smania di mostrare che la propria vita funziona e va a gonfie vele».

L’immagine che non corrisponde alla verità?

«La clinica di chirurgia estetica, che è la scenografia della storia come in una pièce teatrale, e dove i medici impiantano protesi mammarie scadute, fa da cassa di risonanza al discorso dell’apparenza. Non parlo male degli interventi chirurgici e dei ritocchini, ma è in questo posto che “psicologicamente”- uso le virgolette- e fisicamente trova rifugio chi non si sente a suo agio con il proprio corpo e vuole cambiare ciò che non ama di sé, perfezionandosi. E vale anche per gli uomini».

Qual è il messaggio che il romanzo, vincitore del Premio DeA Planeta 2020, lancia alle donne?

«Un premio prestigiosissimo, ricchissimo, una grandissima vetrina. Il sostegno da parte di DeA è stato eccezionale. Tant’è che il libro uscirà in Spagna, c’è un sodalizio per la vendita in francese e in inglese oltre all’Italia. Un riconoscimento che è una torta nuziale. Il messaggio, più che alle donne, è rivolto alle persone. L’imperfezione di cui parlo è un argomento che tocca tutti in generale».

Quindi Anna, la protagonista, avrebbe potuto chiamarsi Marco?

«Esatto, la ricerca della consapevolezza è molto importante a prescindere dal genere, rimanendo in contatto con se stessi. Le tematiche della perfezione e dell’apparenza non sono modelli da seguire, ciò che conta è focalizzarsi su di noi e sulla nostra personalità. Con le fragilità e le insicurezze che ci appartengono dall’interno e che siamo restii a svelare all’esterno, proprio come avviene su Instagram e Facebook».

L’attrice Kasia Smutniak, che ha scoperto di essere affetta da vitiligine, ha creato un filtro ad hoc per le foto su Instagram con cui tutti possono provare l’esperienza di essere “imperfetti”.

«Sì, ne ero a conoscenza e mi sembra una splendida idea. Così come ammiro il coraggio della top model Winnie Harlow, anche lei colpita dalla stessa malattia della pelle e vittima di bullismo quando era adolescente, di sfilare sfidando la bellezza canonica imposta dalle passerelle della moda».
 

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