Caro direttore,
la scelta del premier di tenere chiuse le piste da sci è assolutamente sensata, visti i numeri della pandemia per nulla sconfitta. Anche la Francia è sulla stessa lunghezza d'onda. Svizzera e Austria riapriranno invece gli impianti. Tutto ciò non farà altro che aumentare la circolazione delle persone e vanificherà gli sforzi sin qui attuati. Anche in questo l'Europa è assente.
Gabriele Salini
Caro lettore,
se il governo ritiene che non ci siano le condizioni sanitarie per sciare sulle piste a Natale, non può che vietarne l'apertura degli impianti sciistici.
Ugualmente: funivie e skilift non sono robot. Per funzionare hanno bisogno di addetti che devono essere assunti con appositi contratti stagionali. C'è insomma tutta un' attività di programmazione e preparazione di cui tener conto. Se non lo si fa, come sta accadendo, se si attende fino all'ultimo minuto prima di prendere una decisione, si moltiplicano danni e perdite per gli operatori del settore e le comunità della montagna. In secondo luogo se gli impianti non aprono occorre prevedere da subito i ristori ed erogarli in tempi certi e rapidi. Non è difficile: basta prendere i fatturati degli ultimi due anni delle società degli impianti e prevedere una quota in percentuale di rimborso (facciamo un ipotesi: il 60%) sulla base degli incassi, come accade del resto altri paesi. Inoltre occorre evitare che, mentre l'Italia chiude altri paesi vicini tengono aperti piste e impianti. E se l'Europa non riesce a impedire che ciò succeda, non resta che chiudere le frontiere, per impedire che gli sciatori passino il confine per andare a sciare e ingrassare i fatturati dei nostri più disinvolti concorrenti esteri. Come sempre: non è solo un problema di decisioni, ma anche di organizzazione, tempismo e chiarezza. Altrimenti anche la più giusta e ragionevole delle scelte si trasforma in un boomerang.