Quanti silenzi sull'assalto dei No Tav alle forze di polizia in Val di Susa

Martedì 23 Luglio 2019
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Egregio direttore,
cantiere di Chiomonte sulla Tav in Val di Susa, qualche decina di violenti incursori armati di razzi, molotov ed altro, si scagliano contro la polizia, incendiando il bosco, sono mascherati e quindi non identificabili se non arrestati. In altri paesi questa gente viene affrontata molto duramente alla pari della loro violenza, presa e rinchiusa direttamente in carcere, ma in Italia questo non si può fare senza urtare la suscettibilità della Boldrini, della Boschi, di Saviano, di Fazio o di Lerner. Non scherziamo la polizia non si tocca, pena la giusta punizione sia fisica che giuridica, cosa si aspetta?


Giuseppe Cagnin
Padova



Caro lettore,
come spesso accade nel nostro Paese l'indignazione funziona a corrente molto alternata. Dipende dal contesto, dai protagonisti, dai colori prevalenti. Possiamo stare certi che se ci fossimo trovati di fronte a un'incursione contro le forze di polizia ad opera non dei No Tav, ma di qualche gruppo di diverso segno politico, avremmo ascoltato e letto fiumi di dichiarazioni grondanti sdegno e fermi richiami alla Costituzione. L'esercito degli impegnati a senso unico si sarebbe messo in marcia verso social, tv e quotidiani per far sentire la propria, risentita voce. In questo caso invece in molti hanno preferito girare la testa dall'altra parte. Fare, autorevolmente, finta di niente. Ad onor del vero qualcuno ha fatto persino di peggio. Come quel senatore grillino secondo il quale a dover essere arrestati sono i lavori per la realizzazione della Tav, non i responsabili dell'assalto con razzio e molotov di Chiomonte alle forze di polizia. Facendo implicitamente intendere che per lui il vero reato è la costruzione della ferrovia ad Alta velocità, non le violenze deliberate e organizzate contro le forze dell'ordine. Dettaglio non trascurabile: stiamo parlando di un parlamentare M5s. Cioè di un componente della maggioranza di governo. Purtroppo siamo alle solite: non si riesce a fissare una chiara linea di demarcazione tra ciò che è legittimo dissenso e ciò che è invece pratica illegale. Il rispetto delle norme e dei codici da noi è una variabile dipendente: se a non rispettarli è un nostro avversario politico siamo inflessibili e indossiamo subito i panni dei rigorosi tutori della legge. Se invece ad aggirare il diritto o a violarlo è qualcuno verso cui proviamo simpatia o almeno comprensione, allora il discorso cambia. Prevale il fine che giustifica i mezzi di macchiavellica memoria. I se e i ma diventano lo strumento dialettico attraverso cui la violenza e il mancato rispetto delle leggi diventano tollerabili e in qualche caso - lo abbiamo visto molto recentemente - acquisiscono persino una loro nobiltà.
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