In Italia la meritocrazia è merce rara e domina l'invidia. Ma non bisogna farvincere la rassegnazione

Giovedì 20 Febbraio 2020
Caro Direttore,
quando ho saputo che Leonardo Del Vecchio, presidente di Luxottica, ha passato parte della sua infanzia in un istituto, ai Martinitt di Milano, sono stato contento, perché la sua storia assomiglia, naturalmente in grande, a quella di mio nonno. Mio nonno, il cui nome mi onoro di portare, anche lui orfano e con la quinta elementare, ha fondato una società di Autotrasporti, la S.A.R.T., che nei momenti di massimo splendore, cioè fin che lui è stato in vita, aveva 300 dipendenti, 150 automezzi tra camion, bilici e corriere, e filiali nelle principali città del Nord Italia.

Sono stato contento perché uomini come Del Vecchio e mio nonno Annibale hanno smentito categoricamente quell’idea tanto cara soprattutto ad ex comunisti ma molto diffusa anche in altre persone, idea espressa con le seguenti parole: «Se non si ruba non è possibile far niente di economicamente rilevante». In altre parole: «Chi ha fatto soldi ha rubato». È un’idea diseducativa che porta al nichilismo, ed è senz’altro smentita: Del Vecchio e mio nonno non hanno rubato e non sono stati nemmeno aiutati. Che motivo avrebbe avuto un politico di aiutarli? Cosa avrebbero avuto loro da offrire in cambio, se non la loro voglia di lavorare, il loro coraggio, le loro intuizioni? Ma nell’Italia di adesso, dove la politica e la burocrazia hanno metastatizzato ogni attività, dove più che l’intelligenza conta la furbizia, più che il coraggio conta saper fare voltafaccia ed essere cortigiani, più che il lavoro conta il saper intrallazzare, ho paura che questi uomini di una volta non riuscirebbero più a fare quello che hanno fatto e me ne rammarico soprattutto per i giovani, molti dei quali, per esprimersi, stanno già lasciando il nostro paese.

Annibale Bertollo
Cittadella (Pd)

Caro lettore,
ci sono persone che cercano continuamente alibi per i loro insuccessi o per la loro mediocrità provando a macchiare i successi altrui. O che non potendo fare di meglio, danno sfogo all’umana invidia mettendo nel mirino della loro accidia persone che hanno, dal loro punto di vista, il grande torto di aver raggiunto importanti traguardi nella vita o nel lavoro. La storia di Leonardo del Vecchio, quella di suo nonno ma anche quella di tantissime altre persone, non solo nell’imprenditoria ma anche in altri mondi, ci dimostra che il talento associato al sacrificio e alla determinazione possono permettere di ottenere grandi e talvolta straordinari risultati. Rispettando regole e leggi e senza ricorrere ad “aiutini.” Purtroppo, se questo è vero, è altrettanto vero però che nel nostro Paese la meritocrazia continua ad essere merce rara. Alle capacità, alla “stoffa”, al merito appunto, vengono troppo spesso anteposti e preferiti altri requisiti come l’appartenenza, la cortigianeria, l’abilità manovriera. Ma è inutile essere pessimisti o farsi sopraffare dalla rassegnazione. Sono convinto che suo nonno sarebbe diventato anche oggi un grande imprenditore. Magari solo con qualche fatica in più. Mentre Del Vecchio e altri come lui dimostrano ogni giorno la loro genialità e capacità di darsi e raggiungere nuovi traguardi.
Ultimo aggiornamento: 19:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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