La Liberazione e quei 600mila soldati che dissero no al fascismo, ma furono a lungo dimenticati

Mercoledì 28 Aprile 2021
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Gentile direttore,
25 Aprile festa della liberazione. Ho avuto modo di ascoltare a lungo la testimonianza di un partigiano che aveva preso attivamente parte a quegli eventi. Mi raccontava che oltre a contrastare la potente forza militare della Wehrmacht, erano costretti a combattere una guerra fratricida con gli irriducibili compatrioti, imbevuti della ventennale ideologia fascista. Il sempre presente uso delle delazioni poteva comportare un pericolo mortale non solo per loro ma pure per i loro familiari. Ai giorni nostri si canta Bella Ciao ai concerti ed è facile essere antifascisti. Ma, fino a quando Lui non fu appeso a testa in giù a Piazzale Loreto le cose erano ben diverse. Si dovrebbe rendere omaggio anche ai militari italiani fatti prigionieri dai tedeschi che, dopo l'8 settembre del 43, dissero no alla collaborazione e l'adesione alla Repubblica Sociale. Furono prelevati dalle caserme e internati per quasi due anni in campi di concentramento tedeschi. Fu tolta loro la dignità di uomini; non avevano più un nome, erano solo un numero. Molti di loro non sono più tornati.

Claudio Scandola


Caro lettore,
ha ragione: quella dei militari che dissero no al fascismo dopo l'8 settembre è una pagina della nostra Resistenza spesso dimenticata.

Furono oltre 600mila i soldati che rifiutarono di aderire alla Repubblica sociale e per questo vennero portati in Germania e internati nei campi di lavoro. Oltre 50 mila di loro in quei lager persero la vita. Eppure, nonostante questo importante tributo, per lunghi anni la loro memoria è stata ignorata e gli Imi (Internati militari italiani) sono stati considerati resistenti di serie B. Il ministero della Difesa nel 1950 rifiutò persino di concedere loro la qualifica di Volontari della libertà con questa motivazione: «È doveroso mantenere una differenziazione fra civili che volontariamente presero parte all'attività partigiana e i militari che negando la propria collaborazione ai nazifascisti e subendo l'internamento, si attennero semplicemente ai doveri derivanti dal proprio stato senza il presupposto della volontaria partecipazione alle ostilità contro i nazifascisti». Anche in questo il pregiudizio politico prevalse sulla realtà dei fatti e sulla scelta coraggiosa di tanti soldati, colpevoli agli occhi di qualcuno di non aver fatto una chiara scelta ideologica.

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