Non esistono due Italie: una cattiva che odia e un'altra buona. Sono solo (brutti) slogan

Domenica 8 Settembre 2019
34
Egregio direttore,
negli ultimi giorni il segretario del PD Zingaretti, imitato da altri politici, ha ripetutamente affermato che è finita la stagione dell'odio. Ora, uno può dire che questa sia una sua semplice valutazione, ma esternarla così in pubblico, a fini, diciamo, elettorali, o almeno di lotta politica, significa in sostanza diffamare metà Italia, quella che non rema con lui. In tal modo infatti si attribuisce quell'odio a tutti coloro che erano d'accordo con l'azione del governo, cioè noi elettori, addirittura in maggioranza, se governo della maggioranza era. In pratica, Zingaretti mi dice: tu hai odiato. E io, tranquillamente, pacificamente, gli rispondo che no. Non ho mai odiato quando approvavo un controllo sull'immigrazione selvaggia gestita dalle mafie, non ho mai odiato, anzi, ho aiutato immigrati in difficoltà, e posso provarlo. Però non ero e non sono d'accordo che spalancare le frontiere sia un atto di amore, per dirne una. Pertanto, pur restio ad usare termini quali si vergogni, che non mi competono, vorrei almeno segnalare agli autodefinitisi non-odiatori che i primi seminatori di odio sono proprio coloro che fanno queste meschine osservazioni. Sono loro.

Prof. Giuliano Agostinetti
Mestre

Caro lettore,
l'idea che esistano, in base a ciò che votano, due Italie: una che odia e una che ama, una brutta e una bella, è solo caricaturale e semplicistica. Risponde a un classico automatismo dell'uomo politico: se perde le elezioni non è lui ad aver sbagliato, ma gli elettori. Che non hanno capito, che sono vittime delle paure, che si fanno trascinare in una spirale di falsità e via argomentando. In realtà gli italiani che alle ultime europee hanno assegnato alla Lega quasi il 40 per cento, sono in larga parte gli stessi che, qualche anno prima, avevano votato per oltre il 40 per cento il Pd di Renzi. Non sono diventati nè più cattivi nè più beceri: hanno semplicemente dato il voto a chi ritenevano potesse meglio rappresentare i loro interessi e risolvere i problemi del Paese. Comunque, anche se comprendo il suo stato d'animo e la sua irritazione, non darei una particolare importanza alle parole di Zingaretti. Il segretario del Pd, in questo momento, deve legittimare agli occhi dell'opinione pubblica un'operazione di trasformismo politico che lui stesso non voleva. Per questo cerca di attribuire all'alleanza con il detestato (dal Pd) M5s una valore salvifico e convincere i cittadini che il suo partito è andato al governo con Di Maio e c. non per evitare il voto e mandare all'opposizione Salvini, ma per chiudere «una stagione di odio» e per «salvare la democrazia». Dopodiché anche questo governo, con buona pace di Zingaretti, verrà giudicato sui fatti e sulle scelte. Non sugli slogan.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci