Egregio direttore,
ho notato che nella sua rubrica di dialogo coni lettori, non ha affrontato l'argomento Cloe, il professore diventato donna e trovato poi morto suicida. Non ne ha parlato perchè un argomento troppo scomodo e divisivo?
R.G.
Treviso
Caro lettore,
non c'è nessuna difficoltà ad affrontare temi scomodi e divisivi. Lo abbiamo sempre fatto e continueremo a farlo. Ma quando prevalgono le posizioni più radicalizzate e impermeabili ad ogni voce diversa, spesso è meglio fare un passo indietro e fermarsi a riflettere. Sulla tragica di vicenda di Cloe è avvenuto esattamente questo. Invece di diventare l'occasione per una seria discussione sui diritti, la triste morte in camper e nella solitudine di Cloe è diventata il pretesto per avvilenti scambi di accuse e esibizioni mediatiche che in molti casi prescindevano persino dai fatti e dalla loro dinamica. Alcuni elementi sono comunque chiari. Partiamo da questi. Luca Bianco un giorno di sette anni fa si presentò nella classe dove insegnava a San Donà di Piave vestito in abiti femminili e con una bionda parrucca in testa, annunciando ai suoi allievi: «D'ora in poi chiamatemi Cloe» e rivendicando la sua volontà di essere considerata una donna, perchè tale lei si sentiva. Una scelta che suscitò inevitabilmente sorpresa e polemiche. Cloe venne sospesa per tre giorni dalla scuola e ci furono anche strascichi di tipo giudiziario. Poi, dopo qualche anno, Cloe lasciò la scuola e di lei non si seppe più nulla, fino al ritrovamento del suo cadavere nel camper carbonizzato tra Auronzo e Misura una decina di giorni fa, accompagnato da una sorta di testamento in cui annunciava la sua volontà di suicidarsi. Ora a 7 anni di distanza è stata avviata un'ispezione del Ministero dell'Istruzione per chiarire come andarono all'epoca i fatti. Vedremo a quali risultati arriverà l'indagine. Ma questa amarissima vicenda ci pone comunque di fronte a qualche non semplice riflessione. Luca-Cloe rivendicava la sua identità di essere donna e chiedeva di non essere per questo discriminata nè nella società nè sul lavoro. Esprimeva il suo legittimo diritto di essere quello che lei sentiva di essere e la ferma determinazione che questo sua condizione venisse difesa e tutelata. Ma chiediamoci: esiste solo quel diritto? Non esiste, ad esempio, anche il diritto degli studenti essere preparati ad affrontare una scelta come quella di Cloe? Non esiste anche il diritto delle famiglie di volere capire, sapere e magari anche dissentire? Seconda la testimonianza fornita dalla scuola, di fronte aLuca-Cloe vestita in abiti femminili, una studentessa ebbe una crisi e uscì piangendo dall'aula. Il disagio, la reazione di questa ragazza non hanno alcuna valore? E ancora: il diritto individuale deve sempre e comunque prevalere su quello di una comunità piccola o grande che sia? Non occorre invece trovare un punto di equilibrio tra i diritti, senza pretendere che i propri prevalgono su quelli degli altri? L'inclusione non passa attraverso l'imposizione o il disprezzo verso chi la pensa diversamente, ma da un percorso di condivisione che si fonda sull'accettazione delle differenze e di punti di vista anche molto diversi. La vera strada per combattere le discriminazioni e difendere realmente i diritti di altre Cloe passa da qui. Non dai flash mob o dalle dichiarazioni ad uso e consumo dei giornali e social. Nè tantomeno dalla pretesa di regolare comportamenti e regole sociali solo in funzione delle minoranze.