Caro direttore,
mancano pochi giorni per risolvere la situazione economica di Alitalia, definitivamente. Sono certo che dal cilindro del mago Luigi Di Maio, anche Ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, uscirà qualcosa. Pare sia rimasto aperto più che un oblò: la scia della seta.
Carlo Zardi
San Daniele del Friuli
Caro lettore,
per far uscire Alitalia dal tunnel e individuare una nuova compagine azionaria, non servono né maghi né magie, ma idee chiare e comportamenti coerenti. E una politica industriale degna di questo nome. Purtroppo, per ora, tutte queste cose sembrano mancare. Stiamo assistendo alla solita girandola di (improbabili) nomi e di ipotesi, ma non si capisce bene su quali basi e su quali strategie dovrebbe fondarsi il complicato rilancio della nostra compagnia di bandiera. L'unica certezza, per ora, sembra essere la nazionalizzazione dell'azienda, con il 51% della società nelle mani delle Ferrovie dello Stato e del Ministero dello Sviluppo economico. Un passaggio, a questo punto, necessario, ma che da solo non può certamente bastare a dare un futuro ad Alitalia e ad evitare un nuovo salasso di risorse pubbliche. Quanto grande sia la confusione sotto i cieli, lo dimostra l'atteggiamento del governo, o meglio della sua componente pentastellata, nei confronti di Atlantia, la holding del gruppo Benetton, attiva nel settore delle infrastrutture e proprietaria, tra l'altro, di Autostrade e degli Aeroporti di Roma. Nei giorni scorsi, come noto, il vice premier Di Maio ha improvvidamente definito la società «decotta», ossia sostanzialmente fallita, perché destinata, secondo il leader grillino, a perdere le concessioni autostradali come conseguenza del crollo del ponte Morandi. Posizione confermata anche dal ministro Toninelli. Senonché il governo, di cui Di Maio è l'azionista di maggioranza, insiste nel cercare di coinvolgere proprio Atlantia nel salvataggio di Alitalia, facendola entrare nella nuova compagine azionaria con un ruolo di rilievo. Ora delle due l'una: o Atlantia è un'azienda «decotta», come sostiene Di Maio, e allora non ha senso alcuno che entri in Alitalia; o invece è una società solida e con le competenze necessarie per diventare partner industriale di Alitalia e partecipare alla complessa operazione del rilancio della compagnia. Forse Di Maio, prima o poi, chiarirà in modo definitivo il suo pensiero in materia. Nel frattempo possiamo solo sperare che Alitalia ritrovi una rotta e una strategia. Ma con queste premesse non è davvero facile essere ottimisti.
Ultimo aggiornamento: 15:36
© RIPRODUZIONE RISERVATA mancano pochi giorni per risolvere la situazione economica di Alitalia, definitivamente. Sono certo che dal cilindro del mago Luigi Di Maio, anche Ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, uscirà qualcosa. Pare sia rimasto aperto più che un oblò: la scia della seta.
Carlo Zardi
San Daniele del Friuli
Caro lettore,
per far uscire Alitalia dal tunnel e individuare una nuova compagine azionaria, non servono né maghi né magie, ma idee chiare e comportamenti coerenti. E una politica industriale degna di questo nome. Purtroppo, per ora, tutte queste cose sembrano mancare. Stiamo assistendo alla solita girandola di (improbabili) nomi e di ipotesi, ma non si capisce bene su quali basi e su quali strategie dovrebbe fondarsi il complicato rilancio della nostra compagnia di bandiera. L'unica certezza, per ora, sembra essere la nazionalizzazione dell'azienda, con il 51% della società nelle mani delle Ferrovie dello Stato e del Ministero dello Sviluppo economico. Un passaggio, a questo punto, necessario, ma che da solo non può certamente bastare a dare un futuro ad Alitalia e ad evitare un nuovo salasso di risorse pubbliche. Quanto grande sia la confusione sotto i cieli, lo dimostra l'atteggiamento del governo, o meglio della sua componente pentastellata, nei confronti di Atlantia, la holding del gruppo Benetton, attiva nel settore delle infrastrutture e proprietaria, tra l'altro, di Autostrade e degli Aeroporti di Roma. Nei giorni scorsi, come noto, il vice premier Di Maio ha improvvidamente definito la società «decotta», ossia sostanzialmente fallita, perché destinata, secondo il leader grillino, a perdere le concessioni autostradali come conseguenza del crollo del ponte Morandi. Posizione confermata anche dal ministro Toninelli. Senonché il governo, di cui Di Maio è l'azionista di maggioranza, insiste nel cercare di coinvolgere proprio Atlantia nel salvataggio di Alitalia, facendola entrare nella nuova compagine azionaria con un ruolo di rilievo. Ora delle due l'una: o Atlantia è un'azienda «decotta», come sostiene Di Maio, e allora non ha senso alcuno che entri in Alitalia; o invece è una società solida e con le competenze necessarie per diventare partner industriale di Alitalia e partecipare alla complessa operazione del rilancio della compagnia. Forse Di Maio, prima o poi, chiarirà in modo definitivo il suo pensiero in materia. Nel frattempo possiamo solo sperare che Alitalia ritrovi una rotta e una strategia. Ma con queste premesse non è davvero facile essere ottimisti.