Domeniche aperte, giusto fissare un tetto massimo. Ma senza dimenticare chi (da sempre) alla festa lavora

Venerdì 22 Dicembre 2017
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Caro Direttore,
l'altra sera in un programma televisivo tra i più seguiti era ospite, tra gli altri, Remo Ruffini, presidente e amministratore delegato della Moncler, marchio famoso della moda. Questo signore, tra le altre cose, auspica che il futuro governo del Paese non prenda alcuna misura per ridurre o vietare l'apertura dei centri commerciali di domenica. Raccontava di esser di recente stato a Milano, all'inaugurazione di uno di questi centri, e «di aver visto tante persone, tanti bambini, tante famiglie, tutti presi dalla novità, una dimostrazione di energia che va favorita e non depressa». Quindi, andare in un centro commerciale, per questo signore, è una dimostrazione di energia, di salute economica oltreché fisica. Non so come la pensi Lei, ma se le persone sono cariche di energia, a me fa più piacere se la usano per scopi di socialità, per la cultura, per l'ambiente: incontrare e stare con la famiglia, con gli amici; andare al cinema o a teatro o ad uno di quelle centinaia di concerti che si tengono nei locali delle nostre città; fare una passeggiata assieme ad altri in campagna, in montagna, in una città d'arte, visitando una chiesa antica o un museo.


Paride Antoniazzi
Conegliano 


Caro lettore,
a differenza di un bravissimo imprenditore come Remo Ruffini sono contrario ad un'apertura indiscriminata di iper e centri commerciali durante le festività. Credo che, nell'interesse di tutti - aziende, lavoratori e consumatori- sia giusto fissare regole e limiti e stabilire un numero massimo di aperture festive l'anno. Mi infastidisce però anche la retorica sui lavoratori che non possono trascorrere le domeniche a casa, in famiglia. È un principio apprezzabile, ci mancherebbe altro. Ma vorrei si ricordasse che ci sono migliaia di persone, uomini e donne, che da sempre lavorano il sabato, la domenica e nelle feste comandate. E non sono solo coloro che hanno il compito di garantire servizi essenziali (i lavoratori della sanità, le forze dell'ordine, i vigili del fuoco etc) ma anche i dipendenti di bar e ristoranti, chi lavora nei musei, nei cinema e nei teatri, i casellanti autostradali e decine di altre figure professionali. Che non hanno meno diritti di altri lavoratori più sindacalmente garantiti.
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